Previdenza e pensioni

Pensione anticipata, difficile e sconveniente: ecco perché va evitata | I calcoli

Nei primi tre mesi del 2024 (da gennaio a marzo) sono state liquidate “solo” 187.223 pensioni, il 16% in meno rispetto allo stesso periodo del 2023

Evitare la pensione anticipata (difficile e sconveniente)

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Evitare la pensione anticipata (difficile e sconveniente)

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Sorpresa: non si va più in pensione. O per lo meno è finita la corsa agli anticipi. Nei primi tre mesi del 2024 (da gennaio a marzo) sono state liquidate "solo" 187.223 pensioni, il 16% in meno rispetto allo stesso periodo del 2023. Inps ha pubblicato i dati dell’osservatorio sul monitoraggio dei flussi di pensionamento, relativo alle pensioni con decorrenza nel 2023 e nel primo trimestre 2024, con rilevazione al 2 aprile 2024. Che cosa sta succedendo? È lo stesso rapporto Inps a chiederselo: la causa principale sta nei requisiti molto più stringenti nei confronti delle uscite anticipate, rispetto alle versioni di qualche anno fa. La legge di bilancio 2024 riconosce il diritto alla pensione anticipata al raggiungimento, nel 2024, di un’età anagrafica di almeno 62 anni e di un’anzianità contributiva minima di 41 anni: facendo la somma di 62 più 41 si arriva alla fatidica soglia 103, cioè la "quota 103". Ma il diritto risulta sempre meno conveniente, al punto che la platea degli "anticipanti" si è fatta più stretta.

Tre motivi per evitare quota 103

Il disincentivo a utilizzare "quota 103" si traduce in questi fattori:

  1. Il sistema contributivo diventa l’unico sistema di calcolo per ogni forma di pensione anticipata flessibile, mandando in affitto il più generoso sistema retributivo.
  2. Il valore massimo corrisposto non potrà avere un valore lordo mensile massimo superiore a quattro volte il trattamento minimo.
  3. La finestra mobile: cioè i tempi del conseguimento della prestazione anticipata si allungano fino a sette mesi (per i dipendenti che vanno in pensione dal settore privato) o fino a nove mesi (per i lavoratori dipendenti da datori di lavoro privati e i lavoratori autonomi)

La stessa stretta riguarda l’altra modalità potenziale di anticipo della pensione, riservata solo alle donne: "opzione donna". Introdotti prima con la legge di Bilancio 2023 e poi ancor di più con la Bilancio 2024, i requisiti che hanno ristretto la platea delle potenziali donne "opzioniste", in aggiunta al fatto che, sin dalla sua introduzione, Opzione Donna resta una possibilità di pensionamento molto penalizzante economicamente, perché il calcolo dell'assegno viene fatto tutto con il sistema contributivo. Ovviamente dipende molto anche dal tipo di carriera, ma in genere con Opzione Donna l’assegno pensionistico viene tagliato anche del 25-30% rispetto a quanto si è maturato con il metodo di calcolo misto retributivo-contributivo.

Le condizioni di opzione donna

Anche nel 2024 vige la versione ristretta di Opzione donna introdotta lo scorso anno: quella che non consente l’accesso a tutte le lavoratrici (pur in presenza dei requisiti), ma solo ad alcune. In possesso dei requisiti anagrafici (61 anni di età per le donne senza figli, 60 anni di età per le donne con un figlio; 59 anni di età per donne con più figli) e contributivi (35 di contributi) possono accedere alla pensione anticipata con Opzione donna solo le donne che se si trovano in almeno una delle seguenti condizioni:

  • assistono, alla data di presentazione della domanda di pensione e da almeno sei mesi, il coniuge, la parte dell’unione civile o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità (ai sensi dell’articolo 3, comma 3, Legge 5 febbraio 1992 numero 104) ovvero un parente
  • affine di secondo grado convivente, qualora i genitori, il coniuge o la persona unita civilmente del soggetto con handicap abbiano compiuto i 70 anni di età ovvero siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o deceduti o mancanti;
  • hanno una riduzione della capacità lavorativa, accertata dalle competenti Commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile, pari o superiore al 74%;
  • sono lavoratrici licenziate o dipendenti da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto presso il ministero delle Imprese e del Made in Italy (ex Mise) per la gestione della crisi aziendale.
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