Politica

Quando D’Alema giocava al risiko finanziario

Gian Maria De Francesco

da Roma

«Noi abbiamo perseguito una politica di liberalizzazione, abbiamo cercato di creare le condizioni per un mercato più aperto, di definirne meglio le regole, di garantire una maggiore trasparenza in un Paese in cui esisteva una grande concentrazione di poteri». Così il presidente dei Ds, Massimo D’Alema, ha descritto l’attività riformista del suo governo nei confronti del mondo della finanza nel corso dell’intervista-forum concessa all’Unità di sabato 7 gennaio. Basta tornare indietro al 1999, anno di impegni intensi del governo D’Alema, diviso tra Kosovo e scalate, per fare le opportune verifiche.
Gli avvenimenti accaduti allora costituiscono una cartina di tornasole per stabilire se l’esecutivo di centrosinistra in generale e i Ds dell’ex premier in particolare abbiano agito come un arbitro imparziale o, come si diceva allora, allo stesso di modo di una banca d’affari, la merchant bank di Palazzo Chigi, pronta ad affiancarsi se non proprio a sostituirsi al sancta sanctorum della Mediobanca di Enrico Cuccia. A cominciare dalla «madre di tutte le Opa», l’offerta da oltre centomila miliardi di vecchie lire lanciata da Roberto Colaninno e dagli altri «capitani coraggiosi» come Emilio Gnutti (ma sempre all’Unità D’Alema ha smentito di avere mai affibbiato questo epiteto alla razza padana degli scalatori) su Telecom Italia. Nel gennaio del 1999 fece l’ingresso nel capitale di Bell, la holding lussemburghese che controllava la Olivetti di Colaninno, proprio la Unipol, la compagnia assicurativa timonata da Giovanni Consorte e che fa riferimento alle Coop rosse. Chi c’era tra i finanziatori dell’Opa? Anche il Monte dei Paschi di Siena, una banca notoriamente vicina ai Ds. Chi presiedeva la Consob? Luigi Spaventa, fino a pochi mesi prima presidente dell’Mps.
Ma c’è di più. Secondo indiscrezioni mai smentite, D’Alema avrebbe scritto all’allora direttore generale del Tesoro, Mario Draghi, di astenersi dal partecipare all’assemblea con la quale Franco Bernabé intendeva difendere Telecom dalla scalata. Il 1999 non è stato caratterizzato solo da grandi sommovimenti nelle telecomunicazioni. Anche il settore bancario viveva un insolito fermento. Il Sanpaolo Imi di Torino voleva conquistare la Banca di Roma, mentre le due ex Bin (le banche di interesse nazionale della vecchia Iri) Unicredit e Comit si avviavano verso un matrimonio. Se le due operazioni fossero andate in porto, l’Italia si sarebbe dotata di grandi gruppi bancari molto in anticipo rispetto alla situazione attuale. Ma sia l’ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio che il deus ex machina di Mediobanca Cuccia non gradivano. Il primo perché contrario alle integrazioni ostili tra istituti di credito; il secondo perché non voleva che si rimescolasse la compagine azionaria e di conseguenza si diluisse il potere della Mediobanca.
Poteva il governo D’Alema essere insensibile a tutto questo? Ovviamente no, anche per i delicati compiti istituzionali che spettano a un esecutivo. Nei primi mesi del 1999 non fu solo Colaninno a essere ricevuto a Palazzo Chigi, ma anche il presidente di Unicredit, Lucio Rondelli, e quello della Banca di Roma, Cesare Geronzi. Per non parlare poi dello storico incontro D’Alema-Cuccia che si dice sarebbe avvenuto a casa di Alfio Marchini. E nel fallimento dell’asse Torino-Roma a vincere non furono solo Fazio e Cuccia (per una volta alleati), ma in un certo senso anche D’Alema. Alla Banca di Roma, che svolse un ruolo fondamentale per la ristrutturazione del debito di mille miliardi di lire dei Ds, si prospettò l’ipotesi di un’alleanza con il Monte dei Paschi di Siena. Nella quale sarebbe stata coinvolta anche l’Abn Amro, allora come oggi socia di via Minghetti e della Banca Antonveneta.
Per l’istituto senese una strada romana, comunque, era già stata tracciata. E se non avesse condotto a Cesare Geronzi, avrebbe portato alla Bnl di Luigi Abete. Nel frattempo, il Monte si rinforzò con l’acquisto per 2.500 miliardi di lire della Banca del Salento (forte nel collegio elettorale di D’Alema), guidata dall’astro nascente Vincenzo De Bustis, battendo sul filo di lana Sanpaolo Imi e Fondiaria. Un Mps forte e un sistema industriale «amico» avrebbero potuto estendere l’influenza dei Ds anche nel settore finanziario ricreando nel Botteghino una sorta di «piccola Iri».

Poi, dal maggio 2001, la storia ha seguito un altro corso fino all’Opa di Unipol su Bnl.

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