Politica

Quello di Saviano è l'anatema di un guru diventato giannizzero

Guai a chi ci tocca Roberto Saviano. È un simbolo positivo dell’Italia che non si lascia intimidire dalla malvagità criminale. È un Salman Rushdie oggetto di una fatwa della camorra. Ma perché ci costringe a votargli contro, a passare per suoi nemici e dunque complici «oggettivi» (si dice così tra i compagni) di chi lo minaccia?
Ci spiace, ma egli dopo le ultime mosse si è palesato ormai come un avversario persino modesto. La storia gli ha assegnato un vestito che ora gli va grande. Peccato. Nel momento in cui scende in campo, e lo fa con la sua armatura d'argento del Parsifal puro e duro, invece di puntare la lancia contro la criminalità organizzata cerca di incornare l'avversario politico del giornale per cui scrive, facendolo passare per garante giuridico dei malfattori; allora per favore, scenda dal cavallo di bronzo, non è ancora un monumento. Si accontenti di essere trattato come uno qualsiasi del solito giro degli estensori di appelli antiberlusconiani dall'italiano un po' pasticciato, un Vauro, un Travaglio, un Piero Ricca.
È accaduto questo. Ieri Saviano ha lanciato un appello contro il processo breve, obiettivo di un disegno di legge depositato in Senato. Lo ha fatto su repubblica.it, il sito internet di Mauro-De Benedetti: e intorno al suo piffero si sono radunati immediatamente a decine di migliaia. Egli si rivolge a Berlusconi direttamente. Con un tono profetico simile a quello di Pietro l'Eremita quando lanciò una crociata per liberare Gerusalemme. Come il suo antecedente apocalittico indica il Nemico sullo sfondo. Dopo di che seguono poche righe molto furbe.
Perché dico che sono furbe e alla fine false? Un testo si può attaccare o approvare, discutere anche rudemente: si chiama politica. Ma la tecnica dell'appello a Berlusconi nasconde un messaggio subliminale disonesto. Non si rivolge ai firmatari del disegno di legge, Gasparri, Quagliariello e Bricolo, senatori della Repubblica. Li disprezza, li considera niente, sceglie di trattare il Parlamento come il pollaio di un Padrone, cui rivolgere una specie di anatema morale mascherato da richiesta, come farebbe Robin Hood a Giovanni Senzaterra.
Traduco. Io, Roberto Saviano, famoso in ogni dove come nemico mortale di Gomorra, senza macchia e senza paura, chiedo che tu, occupatore abusivo del trono, «ritiri quella norma del privilegio» (questa è l'intestazione della letterina). C'è tutto in queste cinque parole in capo al testo. Prima di argomentare, con il titolo appena citato infila il suo interlocutore nell'inferno di chi usa la legge come ambito del privilegio.
È l'anatema morale tipico di chi si crede ormai un guru. Non ce l'abbiamo tanto con lui, è difficile resistere alla vanità del successo, si crede volentieri alla nobile schiera delle persone importanti, dotate di turibolo e megafoni internazionali. Ti incensano come una specie di divinità capace di ordinare alle schiere celesti di ripulire il mondo con un paio di frasi al computer. E tu lo fai. Non è che scrivi un articolo, esponendoti con la sintassi e il ragionamento di un uomo qualsiasi. No, scolpisci le frasi in nome della tua fama e del tuo curriculum glorioso. Lo fecero nel 2001 svariati personaggi quasi tutti dotati di due cognomi per domandare la sconfitta di Berlusconi perché qualora avesse vinto sarebbe tornato il fascismo. Berlusconi vinse. Il fascismo non c'è stato. Semmai è stata molto dubbia la maniera con cui è stato dopo cinque anni sconfitto (per ventimila voti raccattati all'ultima ora in qualche urna del sud!). Ora il Cavaliere è tornato in sella, e il modo per affrontarlo è sempre quello: la giustizia usata come clava per negargli quello che la «sovranità del popolo» (art. 1 della Costituzione, 2º comma) gli ha attribuito.
Ora che fa Saviano? Si adegua alla linea svizzera di Repubblica. Lo fece già aderendo alla manifestazione per la libertà di stampa. Adesso insiste. Tratta Berlusconi di fatto come Gomorra, con ossequio fasullo e sostanza di insulto.
Ci domandiamo. Perché Saviano si è trasformato nell'icona immacolata del pensiero meno immacolato che ci sia, accettando di essere il giannizzero capo della squadraccia svizzera di Repubblica? Non si accorge di svilire le sue medaglie combattendo battaglie che non sono quelle per cui è giustamente onorato? Del Piero siccome è bravo a fare gol e ha uno sguardo perbene reclamizza le acque minerali. Saviano, che ha fatto gol in letteratura e nella denuncia della mafia, ha accettato il ruolo di testimonial di quella specie di purga neo-staliniana che vuole eliminare dal consesso politico Berlusconi.
Si capisce però il disagio dello scrittore (o forse è semplicemente un'astuzia da marketing?). Siccome non è stupido, Saviano sa bene che non deve esagerare, dosare le sue pratiche politiche, non deve apparire troppo di parte, ed è tanto più efficace quando mostra di parlare sporgendosi da un balcone celeste da cui guardare con compassione i comuni mortali fingendo di non essere né di destra né di sinistra. Scrive proprio così: «Non è una questione di destra o sinistra. Non è una questione politica. Non è una questione ideologica». Excusatio non petita, accusatio manifesta. Se cerchi scuse, vuol dire che hai la faccia di bronzo. Basta leggere i commenti che seguono al suo «appello» su repubblica.it per capire che è esattamente una questione ideologica, politica, di sinistra.
Dovrebbe fare una cosetta, Saviano, se vuole recuperare un po'. Invece di fare appelli contro Berlusconi, cerchi di esprimergli un minimo di solidarietà. Se non gliel’hanno detto, qualcuno lo informi che Berlusconi è oggetto di una minaccia diretta e seria di Al Qaida. Non è solo questione dei dossier trovati a casa del libico attentatore alla caserma Santa Barbara di Milano. Quello è un funghetto nel bosco, beccato per caso da chi era più impegnato a mettere sotto accusa la Cia: esiste una minaccia concreta per chi - piaccia o no - è il capo del governo di questa Italia. Magari una letterina di solidarietà, di vicinanza, visto che anche Saviano è suo malgrado sottoposto a sua volta sotto scorta, sarebbe un primo passo per discutere civilmente di tutto, anche di processo breve e di giustizia.

Ma senza rispetto per le persone si fa del male all'Italia (e si cade giù dal proprio piedistallo).

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