Cronache

Il ristorante anticrisi? È quello fatto in casa

Prende piede l'home restaurant: bastano una cucina, un tavolo e voglia di ospitare anche sconosciuti. E non si pagano le tasse

Una delle cene in casa di "Ma' Hidden Kitchen Supper Club" a Milano
Una delle cene in casa di "Ma' Hidden Kitchen Supper Club" a Milano

La passione per la cucina da una parte e la necessità di arrotondare lo stipendio dall'altra: miscelando questi due fattori è nata una nuova moda che sta prendendo sempre più piede anche in Italia. Si chiama home restaurant e, come suggerisce il nome, si tratta di un ristorante che ognuno può aprire in casa propria: gli ospiti, che siano amici o perfetti sconosciuti, contribuiscono alla spesa fatta per cucinare, permettendo di risparmiare e allo stesso tempo godersi un pasto in compagnia. L'unico onere a loro carico è più che altro un'usanza: l'ospite porta il vino. Il meccanismo è molto semplice. Intrattenere i commensali con racconti ed aneddoti sui piatti cucinati, proponendo specialità particolari o anche la cucina di uno chef quotato che intrattiene gli ospiti con prodotti nuovi e ricercati. È l'arte di arrangiarsi in tempi di crisi baby, e tu non puoi farci nulla.

Il contatto con il potenziale cliente avviene ovviamente sul web : ci sono già diverse piattaforme esclusivamente dedicate, ma anche siti internet specifici del «locale» oppure per i meno organizzati basta anche una semplice pagina Facebook . Uno dei portali più attivi è Ceneromane , punto di riferimento per l' home restaurant capitolino. Si va dalla cena su una terrazza romana da Cristiana e Alessio con vista sul Colosseo e Campo de' Fiori a partire da 90 euro fino ad arrivare a casa di Carmela, alla Garbatella, con menu più casereccio a partire da 35 euro. Food24 è la piattaforma che gestisce i flussi di pagamento girando ai padroni di casa la quota di competenza con una trattenuta del 15 per cento e le spese di transazione. Un altro portale è Gnammo.com , un sito in cui è possibile rivolgersi agli home restaurant di tutta Italia. Basta scrivere la propria città e vedere cosa offrono i padroni di casa. A Milano ci sono decine di proposte da parte di persone che offrono cene vegane, etniche, di carne, di pesce. Per cenare con l'associazione Ma' Hidden Kitchen Supper Club c'è una lista d'attesa di 3mila persone. Si sottoscrive una tessera annuale di 10 euro e la cena costa intorno ai 30/40 euro. L'età media è tra 25 e 45 anni. Soprattutto donne e professionisti: comunicazione, moda, design, finanza, gli ambiti di provenienza. Ad ogni cena c'è posto per dieci persone. Viene inviata una mail a tutti i soci dell'associazione e i primi dieci che accettano, vengono invitati. Kitchenparty.org si presenta invece come «una community di persone aperte e curiose che condividono la propria passione per la cucina e la buona tavola incontrandosi a casa e nei locali per conoscere ogni volta nuovi amici». A Genova, invece, c'è una presunta «Nonna Leo», così si fa chiamare sul web, una signora di 96 anni i cui nipoti hanno aperto, il giorno del suo compleanno il 18 aprile, un «ristorante in casa» con tanto di sito per gestire le richieste.

Chi vuole prenota, paga e si accomoda a casa di uno sconosciuto come se fosse un amico. Un'occasione per conoscere gente nuova in un contesto informale. Il format è molto apprezzato dai turisti stranieri, che hanno così l'occasione di assaggiare piatti tradizionali della cucina locale.

Per iniziare questa attività, che se svolta tra le mura domestiche non viene considerata di tipo commerciale, basta pochissimo. Nessun nodo burocratico: non serve alcuna autorizzazione sanitaria, anche se è consigliabile avere un attestato di sicurezza alimentare, e fino a un massimo di cinquemila euro annui lordi è possibile svolgerla come attività lavorativa occasionale senza partita Iva.

Ma come per ogni idea geniale che funziona non mancano mai le critiche. Per la Federazione italiana pubblici esercizi «c'è molta improvvisazione, in un lavoro che invece richiederebbe requisiti di etica e capacità imprenditoriale».

Ma la verità, forse, è che non sopportano che gli home restaurant non paghino le tasse.

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