Tripoli - Qualcuno 
viene bastonato o fatto prigioniero dai ribelli con l'accusa di essere 
un mercenario al soldo di Gheddafi.   Altri  sono veramente arruolati 
dal regime per combattere i rivoltosi, ma a forza. Quasi  tutti vengono
depredati quando cercano di scappare dall'inferno libico.   Nel 
marasma  della lotta al Colonnello ne fanno le spese gli immigrati che 
vengono dall' Africa nera. Non che prima della crisi i libici li 
trattassero con i guanti bianchi,   ma le centinaia di migliaia di 
persone di colore che vivono nel Paese lavorando o cercando un barcone
per l'Europa sono terrorizzate.
 
«Vengo 
dalla Nigeria e in un distretto di Tripoli i manifestanti ci hanno 
bastonato dicendo che siamo neri e quindi mercenari di Gheddafi.  Noi 
combattiamo per la sopravvivenza non per il regime» rivela Ibraham 
Aisagbonhi, 27 anni, che ci prega  di non fotografarlo.
Il vescovo
di Tripoli, Giovanni Martinelli,  conferma che «questi disgraziati 
hanno paura.  Sta prendendo piede il pregiudizio  che africano 
significa mercenario». In molti casi il padrone di casa libico sbatte 
fuori gli inquilini di colore perchè teme rappresaglie se vincessero i 
ribelli.
Alla messa di domenica, nella cattedrale di Tripoli,  
sono accorsi circa duemila di eritrei. «Si era sparsa la voce che 
potevamo aiutarli a lasciare il Paese  » spiega il vescovo.  Gli fa 
eco il nunzio apostolico della Libia, Tommaso Caputo, che lancia un 
appello: «Qualche governo si occupi dell' evacuazione dalla Libia e 
accolga come rifugiati le migliaia di eritrei che a Tripoli si trovano 
in una gravissima situazione. Non hanno punti di riferimento e nel 
contesto  attuale sono i più abbandonati».
Per ora il vescovo 
spera di mandare in Italia 54 rifugiati eritrei, non appena il Viminale
darà il via libera con una procedura  d'emergenza. «Ho dato la 
priorità a donne e bambini» sottolinea Martinelli che li sta accogliendo
nella cattedrale.
La situazione sembra anche peggiore per altri 
africani, che rischiano di rimanere  intrappolati fra due fuochi, come 
racconta  John Esa, 24 anni. Lo troviamo nel marasma dell'aeroporto, 
dove migliaia di immigrati intasano lo scalo in cerca di un volo per 
scappare. «Il secondo giorno della rivolta sono piombati in casa dei 
soldati  e hanno preso mio fratello con altri nigeriani- racconta 
l'immigrato che viveva  a Tripoli - . Ci ho parlato l'ultima volta sul 
telefonino da un campo militare, dove l'avevano portato per fargli indossare una divisa e obbligarlo a combattere. Poi non ho saputo più nulla».
Da un suo amico di Bengasi, dall'altra parte della barricata, ha 
sentito la storia di un gruppo di nigeriani e un africano del Ghana 
arrestati dai ribelli perchè sono 'neri'. In realtà volevano solo 
fuggire in Egitto. Secondo l'agenzia delle 
Nazioni Unite per i rifugiati centomila immigrati sarebbero scappati 
dalle violenze. «Secondo  i capi tribù della Libia orientale (persa da 
Gheddafi, nda) gli africani vengono trattati con sospetto a causa 
delle notizie di impiego di mercenari da parte del governo», denuncia l'agenzia dell'Onu.
Ad Al Zawia, in mano ai ribelli, uno dei soldati preso prigioniero ha la pelle scura
come la pece. «Quando l'ho visto è venuto pure a me il sospetto che 
fosse   di un altro Paese.  Poi gli ho parlato riconoscendo l'accento 
libico» racconta Osama, una delle guide del ministero 
dell'informazione che ci ha scortato nella roccaforte ribelle.  
Alcuni rivoltosi tentavano si spacciarlo per mercenario, ma gli stessi 
capi hanno ammesso che si chiama Salim Abi Salim ed è nato a Murzuk, nel
sud della Libia.
Due giorni fa siamo stati insultati per strada da
un avvocato con la pelle scura: «Dite ad Al Jazeera che esistono libici
neri e non sono mercenari».
Nel caos dell'aeroporto le famiglie di colore in fuga sono tante. Scappano anche gli immigrati regolari, come Ben, un ingegnere che lavorava a Tripoli. «Dall'inizio della rivolta la situazione è precipitata racconta il nigeriano - : bande di giovani entrano in casa e ti rapinano approfittando della confusione. Se non gli consegni tutto quello che hai ti becchi una coltellata ».