Teatro

Lo "Schiaccianoci" in stile Nureyev: anche il balletto incanta alla Scala

Dieci giorni dopo la mediatica "prima" con il Boris Godunov, la Scala ha aperto la stagione del Balletto con un altro capolavoro, Lo schiaccianoci di Cajkovskij, nella nota lettura coreografica di Rudolf Nureyev

Lo "Schiaccianoci" in stile Nureyev: anche il balletto incanta alla Scala

Dieci giorni dopo la mediatica «prima» con il Boris Godunov, la Scala ha aperto la stagione del Balletto con un altro capolavoro, Lo schiaccianoci di Cajkovskij, nella nota lettura coreografica di Rudolf Nureyev, ripresa dal direttore del Corpo di Ballo scaligero Manuel Legris in collaborazione con la specialista Aleth Francillon. Nureyev ebbe con lo Schiaccianoci un rapporto costante: lo aveva danzato fin da ragazzo alla scuola del Kirov di Leningrado; aveva realizzato la sua prima coreografia a Stoccolma, in seguito interpretata anche alla Scala con Carla Fracci, fino a giungere all'egotismo massimo di dirigerlo come improbabile direttore d'orchestra a Vienna nel '91.

In quest'occasione nessuno ha obiettato sul fatto che l'autore fosse suddito devoto e apprezzato degli zar russi, forse anche perché in questi ultimi tempi abbiamo appreso molto sulle radici ucraine della famiglia Cajkovskij e sui legami del compositore con quella terra oggi insanguinata. Non un rilevo, per fortuna, al fatto che sul podio guidasse l'orchestra scaligera il moscovita Valery Ovsyanikov, attuale direttore della leggendaria Accademia di Balletto Vaganova di San Pietroburgo, sperimentato omogenizzatore delle partiture musicali per le gambe dei ballerini.

Nel magico mondo sulle punte ci sono cose che si amano e non si discutono, a partire da Cajkovskij, che nella storia della danza moderna è come il Dio Giove Stator et Defensor, garante e difensore delle Leggi che non riguardano solo le coreografie originali, studiate, tramandate e riprese, ma anche l'allestimento scenico, che nel nostro caso era sempre quello elegante del pittore greco Nicholas Georgiadis.

In un periodo di grande crisi identitaria dei teatri con conseguente emorragia di pubblico, i ballettomani sembrano andare in controcorrente, proprio perché devono conservare i propri passi e i propri rituali, manifestando così una forte fedeltà agli autori e alle loro opere. Così in sala non c'erano personaggi venuti solo per farsi vedere, ma persone che, al contrario, volevano vedere lo spettacolo.

Gli applausi maggiori sono andati, come era logico aspettarsi, agli interpreti di caratura superiore, i primi ballerini Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko a conclusione del pas des deux del secondo atto. Passo, come sottolineano i dotti, che prevede una posa conclusiva di particolare bellezza e difficoltà, con il Principe che segue una arabesque, tenendo la ballerina completamente appoggiata sulla sua gamba e sul lato del torso «come una farfalla posata». È il simbolo di quella voluta parità fra primo ballerino non più semplice «portatore» e la sua eterea partner perseguito dal mattatore Nureyev.

Molto riuscite per la sapienza con cui il coreo-ballerino ha saputo muovere e sfruttare la tecnica del corpo di ballo le due grandi scene del Valzer dei fiocchi di neve e del Valzer dei fiori, premiati dagli applausi sonori della sala.

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