Politica

Sconfitte e scandali, sinistra allo sfascio

I Democratici ormai hanno perso la faccia: sbugiardati dalle primarie "farsa", Marrazzo e Delbono travolti da storie di sesso. Ora non gli resta che sperare in De Benedetti per impoverire il Cavaliere

Non siamo più ai tempi della Milano da bere, ma neppure della Capalbio da bene, quando già avevano la puzza sotto il naso e cercavano di camuffarla facendo trenini nelle villette ricavate da poderi e al massimo giocando a cocomerate e scandalizzandosi per una tetta di Lilli Gruber avvistata a L'ultima spiaggia, perché le ultime spiagge non finiscono mai. Berlusconi tiene in piedi sia la destra che la sinistra, d’accordo, eppure qualche mutazione genetica negli ultracorpi allo sbando si sta verificando. Rifarsi a Gramsci, Adorno, Pasolini, Togliatti, Berlinguer, e giù giù fino a citare Asor Rosa che cita Asor Rosa, è come andare in soffitta d’estate e tornare giù coperti di ragnatele e con un canotto bucato. Così ritorna la vecchia domanda di Lenin: che fare?

In mancanza di Berlusconi, ci si accontenta di De Benedetti. Il quale dopo aver ottenuto settecentocinquanta milioni di euro di risarcimento dall’imprenditore avversario ha sancito il passaggio: dall’esproprio proletario all’esproprio proprietario. Non è mandare Berlusconi a chiedere l’elemosina, come voleva D’Alema, ma è già qualcosa. A sinistra hanno gioito, come se poi Carlo De Benedetti fosse Carlo Marx e i profitti li devolvesse al proletariato. D’altra parte non c’è più l’Urss e papi Silvio ai comunisti gli ha fregato pure il giaccone dell’Armata russa, sicché al modello Bersani-Franceschini resta l’eleganza forzata da funzionari di banca in riunione annuale, ogni volta che li vedo ingessati in quei gessati da Rinascente cambio canale.

Per modernizzarsi hanno provato a voltarsi verso l’America, ma l’abbronzatissimo Obama, a cui hanno dato il Nobel preventivo per la pace, su Al Qaida dice le stesse cose di Bush, non ha ritirato le truppe in Irak, le ha aumentate in Afghanistan, è incazzato negro con l’Iran, e ha venduto sei miliardi di missili a Taiwan, meglio far finta di niente.

È ancora un’utopia pensare a una socialdemocrazia moderna e liberista e cazzuta, si sono stufati perfino Panebianco e Della Loggia e il terzista Mieli. Inoltre ora lo si può dire, ci aveva già pensato Bettino Craxi trent’anni fa e fu subito processato con vent’anni di anticipo, mentre il partito graziato non tardava a allearsi con il partito di Io a quello lo sfascio (poi Italia dei valori), puntando molto sui maquillage dell’onomastica, da Pci a Pds a Ds (con alleanza Prc a sinistra) a Pd, quando nel bipolarismo nasceva la Quercia innestata nell’Ulivo innestata nella Margherita pur continuando a lamentarsi, con cotanta botanica incestuosa, di non trovare le radici, e sono ancora contrari agli Ogm.

La topica allarmistica del «global warming», salvo negli editoriali di Repubblica e di Sartori, ormai nella sinistra italiana attecchisce poco, nessuno se la sente di andare in piazza per il surriscaldamento globale, e non solo perché Obama anche lì se ne sbatte, quanto perché l’alternativa «pulita» sarebbe il nucleare (come nota in un suo libro il Premio Nobel Christian De Duve, non certo di destra), che la sinistra vent’anni fa ha combattuto, preferendo comprare l’energia nucleare dalla Francia. Ma soprattutto è più fico scendere in piazza contro Berlusconi, manifestare, sfanculare, tra B-Day e V-Day sembra un perenne film di fantascienza dove l’astronave non arriva mai.

Con frequenti ritorni all’antico, in quanto il refrain che ormai ha imparato anche l’ultima sartina di provincia è «ad personam», come dieci anni fa non si faceva che dire «par condicio» e ognuno si sentiva un giurista latino (talvolta usati perfino insieme, come un titolo della sempre libidinosa Repubblica: «Par condicio, un’altra legge ad personam»).

Nel frattempo si provano i leader come cappotti al mercatino dell’usato, scegliendo sempre quello più innocuo, più riciclabile in caso di fallimento. Tanto se dici che Bersani non è stato capace, un domani chi ti può dire niente, le primarie servono a questo, a legittimare una sabbia mobile di congressi, riunioni, assemblee, come se il numero di riunioni fosse direttamente proporzionale al tasso di democraticità interna e al teorema di Pitagora tra il vertice e la base.
E sempre invocando la «responsabilità» come un mantra, e però, appena vanno al governo, non cambiano nessuna legge «porcata» (né la tanto vituperata Bossi-Fini, né la legge elettorale, né la legge 40, né il sempre nominato conflitto di interessi), e appena cadono tirano un sospiro di sollievo, non devono più scendere in piazza contro se stessi, come pure è capitato. Tornati all’opposizione possono tornare più sfigati di prima, ora Bersani e Franceschini annunciano assegni e sussidi per tutti, tanto mica pagano loro. Quando erano al governo, al contrario, hanno alzato le tasse ai redditi bassi, portando le aliquote al 23% fino a 15mila euro e al 27% da 15mila a 28mila. «Anche i calcoli fatti dalla Uil sbugiardano la propaganda ingannatoria del governo Prodi. La Finanziaria 2007 non difende nemmeno i redditi bassi. Sarà sufficiente prendere 1.350 euro netti al mese che corrisponde al salario di un operaio specializzato, per essere penalizzati dalle nuove imposte». Non lo dico io, lo scrivono quelli del Partito Marxista-Leninista Italiano, che rimpiangevano il compagno Berlusconi.

Sfido chiunque a dire cosa è la sinistra, mentre l’Italia del gossip e della giustizia spettacolo e della superiorità morale si dibatte in neologismi giornalistici che finiscono con «poli», dal greco polis, come fossero tante città, di cui ormai molte finiscono in buchi nell’acqua quando non in buchi veri e propri: Tangentopoli, Calciopoli, Vallettopoli, Transopoli.

La moda americana delle primarie, allestite come un teatrino, pare già finita. Dopo averne organizzate alcune in forma di farsa, in stile Comintern o Sanremo o Premio Strega, dove di regola si sapeva già all’inizio chi avevano deciso di far vincere alla fine, oggi sono rimasti fregati in Puglia, dove un Vendola ci ha creduto davvero e ha vinto bocciando il candidato prescelto che, ironia della sorte, si chiama Boccia (e chissà che liti tra D’Alema e Bersani dove l’uno avrà detto all’altro «Ma qualcuno gliel’ha spiegato a quello che le primarie sono per finta?»). Dovendo così chiudere anzitempo l’alleanza con Casini, mentre altri casini si aprono a Bologna, in perfetto stile commedia italiana anni Settanta con il capo e la segretaria (ecco perché Ghezzi ha rivalutato perfino il cinema trash, non si sa mai), dove lui si chiama Delbono e non è proprio bono, lei è più bona della Rosi, l’immaginario sessuale erotico della sinistra è triste, almeno Marrazzo aveva tentato una transumanza transpartitica saltando i gradi della fase di transizione marxista, andando in via Gradoli.

Bersani è di una tristezza infinita, quando dice «siamo seri», quando dice «dobbiamo essere responsabili», quando dice tutte le cose che non riesce a dire, non capisco perché lo mandino in televisione né perché lo abbiano scelto come leader, mi sembra un downgrading di Prodi che era già il downgrading di Veltroni che almeno era Apple Style, un I-sindaco, I-scrittore, I-segretario, dimessosi però con un umilissimo «chiedo scusa», perché non ha avuto il coraggio di esalare un più consono «I’m sorry».

La sinistra è sfigata, mi mette tristezza anche la scosciata Concita De Gregorio, la si vede ovunque, da Floris, da Telese, pare non ci creda neppure lei a se stessa, e anziché essere grata al suo protettore Walter si anima solo quando sente Berlusconi. L’ultima volta, la settimana scorsa, l’ho avvistata a Annozero: sfacciatella, parlava di precariato e degli operai licenziati, lei che appena insediata ha licenziato decine di collaboratori pagati 30 euro al pezzo, inclusa, mi dicono, la segretaria Eloisa, ora accolta dal Fatto, e senza neppure pagarle il preavviso, anche questo è un fatto. Lo scrittore Fulvio Abbate al contrario è stato licenziato perché, sostiene Concita, «chiedeva troppo», così chiamo Abbate per sapere quanto diavolo pretendeva per la sua rubrica, e mi risponde «60 euro, ma gli amici di Veltroni 400, e avevano anche il Telepass. Sull’Autostrada del Sole mi sono sentito un uomo libero».

Comunque sia è tornato molto in voga parlare delle donne non in quanto persone ma in quanto categoria sindacale, un neofemminismo radical-kitsch che non fa male a nessuno, solo ai timpani e alle batterie del telecomando. Non si parla più di uteri da autogestirsi, si parla di «dignità», come viene viene. Perfino Barbara D’Urso ha imparato il trucco per sembrare un’intellettuale impegnata e non perde occasione per dire «Sono contro ogni violenza sulle donne», lo dice a un certo punto di qualsiasi discorso, a prescindere dal tema, e come se qualcuno fosse a favore.

Va da sé che, in un simile frullatore, ci si attacca a tutto pur di sentirsi vicini a Silvio e parlare di Silvio. Così tra un appello per la dignità delle donne e un altro per la libertà di stampa lanciato da uno scrittore che ripubblica per Mondadori perfino i suoi appelli scritti per Repubblica, i miti diventano una escort di lusso che gira con il registratore incorporato e diventa quasi una firma di Repubblica, o una povera, bistrattata ex moglie, Veronica Lario, altra eroina popolare elevata a Rosa Luxemburg, paladina di tutte le mogli e le Latelle. Che per mantenere il suo tenore di vita ha bisogno di tre milioni e mezzo di euro al mese.

Fossi in Silvio, l’unico vero comunista rimasto, le darei ciò che vuole, con la clausola di darne almeno tre alla sinistra, facendo di Macherio la sede del Pd, tanto perdono lo stesso ma almeno sembreranno meno sfigati, all'Unità riassumeranno i giornalisti di Concita, e oltre ai Telepass passeranno anche i trans o le escort a chi non può permetterseli.

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