Serialità

Il mito di Django rivive su Sky in un western crudo e modernissimo

Dal film a una miserie tv di grande impatto con una regista italiana. Django arriva su Sky dal 17 febbraio in una veste più accattivante ma che non dimentica di commemorare lo spaghetti western

Il mito di Django rivive su Sky in un western crudo e modernissimo
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Prima c’era il film del 1966 con Franco Nero e diretto da Sergio Corbucci, poi l’omaggio al genere dello spaghetti western di Quentin Tarantino, e infine arriva (quasi a sorpresa) la miniserie di Sky che rievoca un mito del cinema di ieri e oggi. Non è facile omaggiare il personaggio di Django che, con il suo grilletto facile e la voglia di vendetta, è stato il protagonista di un film di grande successo che, all’epoca, fu osteggiato e criticato per la sua eccessiva violenza ma, di fatto, è entrato nell’immaginario comune. Era un film italiano che ha fatto scoprire la nostra tradizione anche all’estero, e ora con la serie di Sky (disponibile in streaming anche su NowTv) compie di nuovo il miracolo. I primi due episodi di Django arrivano il 17 febbraio e noi, che abbiamo potuto dare uno sguardo alla serie in anteprima, possiamo confermare di aver visto un prodotto unico nel suo genere. Crudo, violento ma bellissimo e attuale. Una serie che, per l’appunto, omaggia il cinema ma porta in tv qualcosa di nuovo e di esaltante. Una gioia per gli occhi, il cuore e la mente.

Una serie internazionale con un cast di grandi nomi come Matthias Schoenarts e Noomi Rapace, girata in Romania, recitata in lingua inglese ma che batte cuore italiano. I primi 4 episodi sono diretti da Francesca Comenicini, conosciuta già per Gomorra e per Luna Nera, mentre i restanti episodi restano sotto la sua direzione artistica ma sono diretti da David Evans e Enrico Maria Artale. Un progetto unico nel suo genere perché, per la prima volta, fa splendere il genere dello spaghetti western che brilla di una luce nuova e diversa. Non un racconto di umana vendetta ma una storia di coraggio e di resilienza in un mondo in cui vige la legge del più forte.

Segreti e misteri nella città di New Babylon

Ci troviamo nel Texas alla fine del 1800. Django raggiunge nel cuore della notte una città spersa nel nulla, tra polveri, erba secca e un odore pungente di fame e di morte. New Babylon è sorta in mezzo a un cratere ed è stata fondata da John Ellis, che si è arruolato nella Union Army allo scoppio della Guerra Civile ed è diventato ufficiale incaricato. In guerra ha perso il figlio maggiore e la ex moglie. Sulla base dei propri ideali ha fondato una città che accetta chiunque e offre occasioni di riscatto a tutti. Django viene subito mal visto dai cittadini e, dopo una rissa, viene rinchiuso nelle prigioni. L’uomo, dall’oscuro passato e segnato dagli orrori della guerra, ha cominciato il viaggio in una terra sperduta solo per ritrovare sua figlia, rapita quando era ancora una bambina. Quella bambina – che ora è una donna – è Sarah, promessa sposa a John Ellis. Il destino farà incontrare di nuovo padre e figlia, ma gli intrighi e lo strapotere di John Ellis, mettono in moto una serie di eventi che sarà impossibile da controllare.

Un Django come non lo avete mai visto

Ci si trova di fronte a una serie monumentale, sotto tutti i punti di vista. Sia da quello della messa in scena che da quello recitativo. Uno show che cattura la magia del mito cinematografico di Django e lo trasforma in qualcosa di più emotivo. Qui, il protagonista non è solo un pistolero solitario che vaga in una terra smossa e distrutta dalla Guerra Civile, più che altro è un uomo che è alla ricerca di se stesso e di uno scopo. Si aggrappa al ricordo della famiglia che aveva e al pensiero di una figlia che ha amato come se fosse un pezzo del suo cuore e, ritrovarla nella terra di New Babylon, per lui è un ennesimo colpo basso del destino. Di solito, il pubblico ha visto un Django indomito, che non aveva mai paura di affrontare il nemico. La serie esplora il suo carattere da un altro punto di vista. Lo umanizza e lo rende imperfetto, cade spesso nei suoi errori ed è vittima delle sue emozioni. E, in questa dicotomia che si trova l’essenza più pura di un personaggio che, da solo, riesce a mantenere alto l’interesse. Per fortuna, la bravura di Matthias Schoenaerts non delude.

Oltre il tema della vendetta c’è (molto) di più

Una serie che colpisce in fondo. Ha di sicuro un ritmo lento e dilatato e si prende i suoi tempi per implodere con veemenza, ma lo schema funziona. Chi sa attendere non resterà deluso. Certo, siamo ben lontani dalla scia di sangue messa in atto Tarantino nel suo Django Unchained, ma la vicenda raggiunge lo stesso il suo punto più alto di espressività. Non è solo una storia di vendetta, non è solo una storia ambientata nel più oscuro e violento far west, non è solo una storia che racconta la condizione dei neri dopo la guerra, è una serie atipica che esplora – con sagacità – il rapporto padre-figlio, gli ideali di libertà e i sogni di un mondo migliore. È una serie tragica con un protagonista bello e dannato, che mette in scena una storia su un mondo alla deriva e che – inconsapevolmente – riflette sulla società di oggi.

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Perché vedere la serie su Django?

È una serie per stomaci forti, questo non lo si può negare. È violenta nel linguaggio e nelle scene ma la storia di vendetta e denuncia sociale di Django arriva dritta al cuore. Piace perché è un western di ottima fattura, convince dal punto di vista estetico e da quello recitativo. Piace non solo ai puristi del genere ma a chi si vuole perdersi in una storia umana e potente.

Franco Nero e il boom dello spaghetti western

Il mito nasce nel 1966. Quando Django è arrivato nelle sale è stato visto come uno dei film più violenti mai prodotti fino a quel momento. Proprio la violenza, la crudeltà e il cinismo però contribuirono al suo grande successo, tanto da renderlo una pietra miliare del western all'italiana. Django fu l'affermazione di Sergio Corbucci come regista di successo e rese Franco Nero uno degli interpreti più noti a livello internazionale del genere spaghetti western.

Proprio il genere, che ha avuto la sua fortuna tra gli anni ’60 e ’70, ha portato l’Italia al centro della narrazione cinematografica di tutto il mondo, influenzando successivamente anche i temi e le convenzioni sul western di produzione non europea.

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