Cultura e Spettacoli

Morto Ciccolini, il perfezionista del pianoforte

Morto Ciccolini, il perfezionista del pianoforte

«La musica è come l'ossigeno». Parola del gran decano del pianoforte Aldo Ciccolini, morto, come dicono con eleganza nella patria d'adozione, la Francia, alle soglie dei quattro volte venti più dieci (era nato a Napoli sotto la costellazione del leone, il 15 agosto del 1925). Del talento del fanciullo precocissimo si era accorto il Direttore del Conservatorio di San Pietro a Majella, Francesco Cilèa. L'autore di Adriana Lécouvreur ottenne una dispensa speciale perché a nove anni entrasse in conservatorio. Con la guerra iniziò un periodo di privazioni e dolori. Ciccolini sbarcò il lunario suonando nei bar, imparando a farsi ascoltare da un uditorio (e lo consigliava a tutti i giovani).

Il passo decisivo fu l'andata a Parigi, nel '49, dove sbaragliò una qualificata pattuglia di colleghi al concorso che portava il nome di due musicisti che saranno altrettanti punti di riferimento: Marguerite Long, sua docente e Jaques Thibaud, insigne partner cameristico. L'insaziabile desiderio di studio spinse Ciccolini ad avvicinare Alfred Cortot - enciclopedia vivente - e Yves Nat, pianista-poeta innamorato a tal punto del suo strumento da insegnargli a godere del pianoforte con la voluttà di un gelato alla crema. Ciccolini, cosa rara nella categoria dei pianisti, parlava sempre di persone, incontri, letture intorno al «fatto» musicale (mai di se stesso) e nella sua conversazione il «potin» diventava momento di costume e di cultura. Il bel suol di Francia nel secondo dopoguerra gli offrì occasioni straordinarie: conoscere Gide, Mauriac, Cocteau. Frequentare la Comedie-Française, convinto che gli attori siano fratelli nel Suono. Meravigliosamente vasto è stato il suo repertorio. Non solo i classici del romanticismo tedesco, ma un'affinità d'elezione per César Franck e la sua scuola, e per gli irregolari come Chabrier o gli aristocratici dimenticati come Déodat de Severac o il Saint-Saëns degli Studi e dei concerti per pianoforte. Ciccolini trasformò un omaggio discografico ad Erik Satie in un duraturo fenomeno mondiale di vendite. Per Satie-Uomo Ciccolini professava un vero culto. Non dimenticava che pur nella miseria più nera, rifiutava di essere pagato dalla milionaria principessa di Polignac, preferendo suonare per piacere nei piano-bar: «E tornava a casa sua, ad Arcueil, sempre a piedi. Un santo! Un essere simile non poteva che nascere in Francia!». Nelle frequenti visite in Italia si rammaricava del silenzio calato sul nostro Novecento storico: «Gli italiani riescono sempre ad essere i peggiori nemici della propria arte. Compositori come Casella, Malipiero, Pizzetti, Castelnuovo-Tedesco, in Francia godono di un'attenzione sacrosanta da parte delle istituzioni e del pubblico militante». Scettico e realista affermava che dopo la morte si cade nel dimenticatoio. Forse proprio per questo la sua battaglia contro l'effimero delle mode e l'ignoranza dilagante è ancor più degna di ammirazione, perché la Musica «non afferma nulla.

Suggerisce tutto».

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