Cultura e Spettacoli

"Vittimismo e cattivismo, due retoriche dannose"

Lo scrittore: «Apprezzare la diversità è calarsi nei panni altrui. Anche se non ci piacciono»

"Vittimismo e cattivismo, due retoriche dannose"

A Nicola Lagioia ho fatto una promessa: intervistarlo sul politicamente corretto, in seguito al dibattito partito da Bianco di Bret Easton Ellis, senza dire la mia, perché sarebbe scorretto. Perché in qualche modo siamo uno la nemesi dell'altro. Io scrittore da sempre scorrettissimo, misantropo, chiuso in casa, messo al bando da qualsiasi gruppo di potere culturale, reputato dalla sinistra troppo di destra e dalla destra troppo di sinistra, lui amico di critici e dei letterati che io ormai odio, e vincitore del Premio Strega con La ferocia (Einaudi), e direttore del Salone del Libro di Torino, e bisogna dire anche intellettualmente coltissimo, e pure simpatico. E dunque, paradossalmente, l'apocalittico sono io, e l'integrato è lui, e dunque non c'è niente di più politicamente scorretto dell'apocalittico che intervista l'integrato sul politicamente corretto.

Cosa è cambiato per te dalla cultura del piagnisteo denunciata da Robert Hughes a Bianco di Bret Easton Ellis?

«Si è creduto di poter applicare il politicamente corretto (a cui riconosco un senso nelle questioni che riguardano la convivenza civile) all'arte, il che ha portato a fare confusione tra la biografia degli autori e il valore delle opere. Si è cominciato con il dire che la biografia di certi artisti aggiungeva o toglieva qualcosa ai loro lavori. Naturalmente solo l'opera conta. Non è importante sul piano artistico che Caravaggio fosse un assassino, o che James Joyce e Saul Bellow non fossero sempre persone facili. Ciò che importa è la Vocazione di San Matteo, Gente di Dublino e Il dono di Humboldt. Dalle biografie si è poi passati ad attaccare le opere. La gente ha cominciato a confondere Patrick Bateman con Bret Easton Ellis (giù addosso ad American Psycho) Humbert Humbert con Vladimir Nabokov (bruciamo Lolita!). Hanno attaccato Balthus. Si è invocata la damnatio memoriae per Woody Allen, reo di nulla. Ma se anche Allen avesse commesso azioni discutibili, questo non dovrebbe portare a distruggere film come Io e Annie. Bruciamo tutto Pasolini?»

Mi viene da pensare che in Italia a denunciare il politicamente corretto furono scrittori come Alberto Arbasino e Umberto Eco, tutt'altro che dei conservatori...

«Negli Stati Uniti siamo arrivati alla follia di sostenere che uno scrittore benestante non possa scrivere di poveri, che un eterosessuale non possa scrivere di omosessuali, che un bianco non possa scrivere di afroamericani, mandando all'aria uno dei principi cardine su cui si reggono millenni di letteratura: la sacralità della finzione, la possibilità di raccontare le storie degli altri, di mettersi nei panni di persone diverse da noi, il vero esercizio di alterità che tanto spesso invochiamo. Quando Dostoevskij scrive Delitto e castigo si mette nei panni del suo protagonista, e quando noi leggiamo quel meraviglioso romanzo ci troviamo a empatizzare con Raskolnikov, un assassino».

Sono d'accordo con Ellis sulla questione omosessuale solo in parte. Un conto è poter ironizzare su tutto, un altro sono i diritti civili, e le due cose possono non essere in contraddizione. Cosa ne pensi?

«Sono per il riconoscimento agli omosessuali di tutti i diritti che rivendicano. Mi sta stretto persino il concetto di orientamento sessuale. Lo trovo limitante. Nel mio mondo ideale, tra adulti consenzienti possono intercorrere atti e condotte sessuali di qualunque tipo, e nessuno dovrebbe potermi rinchiudere in un recinto identitario, così come nessuno dovrebbe potermi discriminare o privare di diritti per questo. Si può ironizzare su quel che si vuole, ma una cosa è ironizzare sugli omosessuali in un mondo che non li discrimina, una cosa è farlo in un contesto dove sono marginalizzati».

Come scrittore hai mai sentito la pressione della cultura del vittimismo di cui parla Ellis?

«Mai, ma non appena chiudo il file su cui lavoro certo che la sento. Sento i professionisti del vittimismo. E sento i professionisti del cattivismo a tutti i costi. L'impegno a tutti i costi, artisticamente parlando, genera la retorica del politicamente scorretto a tutti i costi, che è ugualmente fasulla».

E come direttore del Salone?

«La mia giurisdizione è sul programma. Al Salone abbiamo ospitato senza problemi Eduard Limonov, che è un po' il massimo del politicamente scorretto. Qualche giorno fa abbiamo avuto con noi Bret Easton Ellis. Ogni anno mando un invito molto circostanziato a Michel Houellebecq, sperando che prima o poi accetti».

Il #metoo che ha messo al bando registi e attori, cosa succederebbe se applicassimo gli stessi criteri alla tutta la cultura? Aboliamo anche la relatività perché Einstein era un molestatore di ragazzine?

«Il #metoo non andrebbe giudicato per i suoi eccessi. Ho detto di Woody Allen, e mi sembra ridicolo che ci si debba sentire in colpa a guardare House of Cards perché tra gli attori principali c'è Kevin Spacey. Il #metoo può avere eccessi che in ambito artistico deploro, ma ha anche radici sacrosante. Il nostro è un paese maschilista e retrogrado: non abbiamo mai avuto una donna Presidente della Repubblica, mai una Presidente del Consiglio, quasi tutti i direttori di giornali sono maschi, stessa cosa per i posti apicali all'università o nelle grandi aziende. Ricordo servitori dello Stato che giocavano con la bambola gonfiabile di Laura Boldrini. E ricordo offese condite di continue allusioni sessuali nei confronti di Giorgia Meloni. Se mi bastoni continuamente in modo così infame sulla questione di genere, rischio poi di attribuirti una colpa anche quando non c'è».

Sì però a me le donne hanno rotto il...

«Lo sappiamo come la pensi ma ora hai promesso di stare zitto, stronzo».

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