Politica

Stile «sorority» Le cattive ragazze ora fanno scuola

Dalle confraternite dei college americani il modello della studentessa sexy e disinibita è arrivato anche nel nostro Paese

Vittorio Macioce

È quasi sempre bionda. Ha lo stesso sguardo di Barbie. Si muove allo stesso modo, una bambola di plastica. Qualche volta pensi che sia stata lei a rubare la mela dall’albero del bene e del male. È davvero l’ultima figlia di Eva. Il sospetto è che sia lei l’immagine futura della donna occidentale. La ragazza beve troppo, non ha morale, il suo vocabolario accetta solo parole certificate dall’ultima «vj» di Mtv. Non frequenta mai il locale sbagliato, non legge mai qualcosa di utile. Il sesso? Il sesso è una buona abitudine sociale, non sempre interessante. È come, un tempo, andare in chiesa. Questa ragazza di plastica si muove in branco e non ha mai paura di sembrare volgare, perché in questo secolo e in questa era la volgarità è un valore che vince. Questa ragazza è una lolita che si vende all’ipermercato dietro l’angolo, ma il suo archetipo è stato forgiato dalla Hollywood più leggera e ammiccante, con le tettine che disegnano la camicetta bianca e le gambe nude anche d’inverno. Qualcuno di voi l’avrà già vista passeggiare per le strade di Roma e di Milano, anche se magari non sai bene da dove sia spuntata fuori. Semplice. È solo la reinterpretazione cinematografica e patinata di uno stereotipo da college, le sacerdotesse del sesso delle sorority americane. Se un quarto di secolo fa i college-movie raccontavano la sessualità sboccata dei college americani, i sorority movie hanno sdoganato i racconti erotici delle lolite da college. Le telecamere sono entrate nelle stanze da letto delle studentesse e hanno fotografato un reality show.
Le sorority sono il volto femminile delle confraternite universitarie. La versione americana della goliardia europea, l’associazionismo studentesco che è sopravvissuto al Vietnam, alle occupazioni di Berkeley, agli acidi lisergici e agli anni ’70. Il cinema, nella versione maschile, le ha santificate con L’attimo fuggente e mercificate, con un’estetica grottesca, nei college-movie anni ’80 in stile Porky’s. Ma è qualcosa di cui l’America va orgogliosa, perché le fraternity sono la prima scuola per le classi dirigenti, tutti quelli che contano sono passati da qui, da queste sette dove regna il nonnismo, dove il dio del successo divide i vivi e i morti, i furbi dai disadattati. È l’America che cerca conferme alle sue incertezze specchiandosi in un classicismo utopico, con l’illusione di legare l’ultimo impero al mondo degli antichi. Le confraternite universitarie s’ispirano così alla Grecia dei filosofi e si battezzano con le lettere dell’alfabeto ellenico (alfa, beta, gamma, delta...). Il 71% della classe politica americana viene da lì, l’81% dei personaggi famosi è passata da lì. Tutti i presidenti degli Stati Uniti, eccetto due, sono stati lì. Le confraternite sono il romanzo di formazione delle élites americane. È il luogo dove si diventa grandi, con un addio all’adolescenza che passa attraverso il deragliamento di tutti i sensi.
Le sorority, interpretate da Hollywood, hanno invece disegnato il modello dell’adolescente globale. L’originale potrebbe avere il volto di Rachel McAdams, la regina di Mean Girls, la bionda esplosiva di Hot Chick. La McAdams, nell’immaginario hollywoodiano, è la classica leader da sorority, quella che detta linee e tendenze. La sua rivale è di solito un po’ meno bionda, un omaggio sfumato al multiculturalismo, una goccia di sangue non ariano, ha il sorriso e lo sguardo ribelle di Lindsay Lohan, ventenne di origine italo-irlandese. La sua alternativa ha il fascino indeciso, tra le radici perdute e il futuro incerto, di Misha Barton in L’altra metà dell’amore. Quando Tom Wolfe ha scritto Io sono Charlotte Simmons forse aveva in mente lei. Charlotte Simmons è la ragazza di paese che si ritrova alla Dupont University, l’olimpo della cultura universitaria americana. Charlotte è tutto ciò che il modello globale sta rifiutando. È convinta che la cultura sia la leva con cui una matricola nata tra le montagne della North Carolina può trovare un posto nel mondo. Charlotte è un piccolo vaso di valori familiari che, fino a ieri, sembravano eterni. Charlotte scopre che per galleggiare in questo mondo deve invece mettere in vendita i suoi occhi azzurri, il seno contadino e sverginare la sua ingenuità. Charlotte resiste, combatte, cade, si rialza e alla fine si arrende. Il suo mondo è un sogno troppo costoso. È la memoria del passato.
Rachel McAdams e Lindsay Lohan, Beverly Amory (la ragazza da sorority di Wolfe) e Charlotte Simmons sono in fondo delle maschere che potrebbero sfilare anche in Italia, nella università di massa che ha ritrovato la goliardia nei riti da sabato sera delle studentesse fuori sede, che sfilano a vita bassa di discoteca in discoteca e si svegliano cariche di alcol in letti disfatti da settimane. Le sorority girl italiane seguono i consigli di vita, sesso e altre amenità di Camila Raznovich. Le sorority non leggono Il Foglio, ma troverebbero comunque adorabile il mondo raccontato con gli occhi di Guia Soncini. Le sorority italiane studiano diritto e invidiano le veline.

Le sorority hanno letto Cento colpi di spazzola, ma in tram, saltando le parti in cui Melissa pensa, e sottoscrivendo tutto il resto.

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