Cronaca locale

Sui giornali il lusso della Prima scaligera diventa sobrietà

Corriere e Repubblica trasformano gli esibizionismi dell'inaugurazione in una manifestazione di austerità

Sui giornali il lusso  della Prima scaligera diventa sobrietà

Devo aver sbagliato teatro. Alla Scala ci sono andato mille volte, ma evidentemente stavolta sono caduto in stato confusionale, finendo chissà dove. Come minimo, devo chiedere scusa ai lettori: raccontando quella che io credevo la Prima, ho parlato di un'atmosfera tutta gioielli, pellicce, smoking, auto blu, rolex e silicone, né più né meno come gli altri anni. Questo ho visto io, in tutta onestà. Nessuno scandalo, per carità: un evento mondiale come la Prima inevitabilmente impone una presenza di prestigio. Però, rilevavo in sede di cronaca, mettiamola così e chiudiamola senza tanta retorica di regime: anche al tempo dello spread e della manovra, anche al tempo dei ministri che piangono e dei sacrifici che strozzano, anche al tempo dei professori infallibili in odore di santità, il bel mondo è sempre lì, ineffabile e intoccabile, come se la grande crisi e gli spettrali incubi fossero questioni completamente estranee. Fuori, due signore bionde dietro le transenne, lavoratrici del teatro, meglio di me sollevavano la contraddizione con chiarissimi cartelli: «Le vostre finte lacrime, il nostro vero sangue», «Signore in pelliccia, ma per voi la crisi esiste?».

Leggendo i giornali del giorno dopo, avrei voluto sotterrarmi. Se, come temo, non ho affatto sbagliato indirizzo, se davvero ero alla Prima della Scala, mi resta soltanto una penosa spiegazione: c'ero, ma non ho capito nulla. E con me le due signore dei cartelli indignati. La verità non è mai come appare. Ci spiega Marzio Breda sul Corriere: questa Prima «fa rievocare le speranze che si accesero la sera del maggio 1946, quando Arturo Toscanini inaugurò lo Scala ricostruita dopo la guerra. Mezza Milano e mezza Italia erano ancora piene di macerie e il clima dentro il teatro somigliava a questo di oggi: un'idea non depressiva di austerità e di sacrifici, legata a un fervore presto divenuto contagioso...».
Altro che lustrini e vanità, esibizionismo e mondanità, come sempre, come è parso di cogliere a me e alle due signore. Tutto un altro clima. A spiegarlo ancora meglio, dalla Repubblica, la zia Natalia Aspesi. Lusso e ricchezza sbattuti in faccia al popolo tramortito? Semplicemente, questo si chiama patriottismo. Il patriottismo dello smoking. Né più, né meno. Quanto ha sofferto, questa povera gente della Scala, prima di arrivare a teatro. «Intrappolato dal molesto ordine “sobrietà”, il pubblico quasi tutto pagante, dopo numerose consultazioni anche tra signore delle istituzioni, ha deciso eroicamente che era più patriottico, più consono ai sacrifici di tutti e alla mannaia sui pensionati, sfoggiare il massimo lusso al solo scopo di dare subito una spinta alla futura ripresa economica. E anche per far capire agli ospiti stranieri di che forza d'animo sono capaci gli italiani in situazioni di estremo disastro: quindi gioielli, pellicce, abiti con strascico, broccati, leopardamenti, piume, persino fiori nei capelli e una moltitudine di poppe giganti». Titolo dell'articolo: «Se alla Scala debutta la sobrietà bipartisan». In altre parole: inizialmente, dato il momento, dato il rigore del montismo dilagante, tutta questa bella gente si sarebbe presentata alla Prima con le toppe al sedere. Ma siccome in certi momenti il vero patriota non si tira indietro, eccoli tutti accettare il sacrificio e sfoderare la massima opulenza. Diamine, l'hanno fatto per noi! «A dare l'esempio di necessario ottimismo, anche gli uomini delle istituzioni in smoking. Più abituati Napolitano e Monti. Pisapia, invece, ha passato notti insonni causa vecchi patemi d'animo di sinistra, rimuginando se era il caso di indossare un simbolo della borghesia. Poi lo ha illuminato la lettura di un vecchio articolo di Paolo Grassi, che elogiando lo smoking riteneva sbagliato che per essere socialisti si dovesse sembrare dei pezzenti. In più, lo indossava l'altra sera anche Benigni da Fiorello...».

Io sbaglio teatri, e se non li sbaglio ci capisco poco. Però una cosa l'ho capita benissimo: fino all'anno scorso, alla Scala sfilavano persone e personaggi di un regime volgarmente «cafonal», alla faccia della povera gente e del ceto medio in crisi. Stavolta, come spiega la zia Natalia, erano tutti patrioti di un Paese finalmente serio, austero, rigoroso. Un Paese ingioiellato, impellicciato, a diciotto carati, con l'auto blu: ma sobrio. E chi non lo capisce è in malafade.


Zia, facci il piacere.

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