Cronaca locale

Testamenti, ultimi atti di vita

Una corona d'oro, sacre reliquie, mobili, e poi la testa di una mummia, non manca il cioccolato, ma anche pensieri affettuosi e qualche commento velenoso. Sono solo alcuni dei lasciti che emergono dai testamenti in mostra (in tutto una settantina) all'Archivio di Stato di via Senato, fino al 26 febbraio. Un'idea coraggiosa quella della dottoressa Alba Osimo, come ha ricordato il sovrintendente dell'archivio notarile di Milano, Mario Molinari: «l'argomento non è certo facile da affrontare: basta accennarvi, o anche solo cercare di prenderlo alla lontana e subito qualcuno si mette le mani in tasca o si abbandona ad altri gesti scaramantici». Eppure, oltre a essere un documento utilissimo, il testamento è senz'altro un atto importante: chi si decide a scriverne uno non lo fa forse con la mente rivolta all'evento più straordinario che gli potrà mai capitare? E se, appunto, la decisione nasce con il pensiero del proprio ineluttabile incontro con la morte, questo stesso pensiero sembra evaporare nel momento stesso in cui ci si accinge a mettere nero su bianco le proprie volontà, lasciando spazio solo a passioni e sentimenti. Così non è raro - poveri o ricchi non fa differenza - cambiare più volte il testamento in base ad amori e risentimenti, per premiare o punire con atti e parole pieni di vita. La visita alla mostra «E viene il tempo della pietà. Sentimento e poesia nei testamenti», si trasforma così in un coinvolgente viaggio alla scoperta dell'animo umano, che riunisce la dimensione del singolo e della società, di cui si possono ripercorrere i cambiamenti e riconoscere gli aspetti immutabili. L'esposizione, frutto di una ricerca nei fondi dell'archivio notarile, in quelli antichi delle pergamene e negli archivi familiari conservati nell'Archivio di Stato di Milano, si articola in cinque sezioni - arcivescovi, viaggi, oggetti, spese funerarie e sentimenti - precedute da un prologo che presenta esempi della tipologia testamentaria. In questa prima parte, particolarmente degno d'attenzione è il testamento seicentesco di Luca Riva che, sordomuto e capace di scrivere solo la sua firma e poche parole, esprime le sue volontà attraverso dieci disegni. Seguono i lasciti di alcuni arcivescovi milanesi, a partire da Ansperto, che sedette sulla cattedra ambrosiana tra l'868 e l'881, fino a Gabriele Sforza, fratello del duca di Milano Francesco, cui venne affidato l'arcivescovado tra il 1454 e il 1547. Non mancano i testamenti redatti in occasione della partenza per lunghi viaggi, soprattutto pellegrinaggi, ma le sezioni che indubbiamente riservano più suggestioni e curiosità sono quelle degli oggetti e dei sentimenti: il «succo» dei testamenti. Qui troviamo Beatrice d'Avalos che lascia in eredità una corona d'oro donatale dalla regina di Francia, Luigi Gualdo Bolis che fa dono ad Arrigo Boito e Gabriele d'Annunzio dei suoi gioielli, ma anche Litta Modignani, che al Museo Civico di Milano destina gli «oggetti di storia naturale, compresi gli uccelli imbalsamati, il serpente boa e la testa di mummia», o Giuseppe Fabbri che lascia alla sorella una posata d'argento dividendo equamente tra i figli le altre. Tra le eredità più curiose quella di Faustino Giulini, che immagina per due monache una sorta di pensione annua sotto forma di barrette di cioccolata, e quella di una ricca vedova che nel 1361 destina al convento di San Marco un pranzo da tenersi in sua memoria una volta l'anno.
Ma il testamento rappresenta anche un'ultima occasione per esprimere amore, pentimento, riconoscenza, o anche rabbia o disprezzo tenuti nascosti in vita. È il caso, per esempio, del codicillo del testamento di Agostino Brambilla nei confronti della vedova del fratello «che mi vergogno di chiamare mia cognata».

A completare l'esposizione, una pioggia di arenghe distribuita lungo tutto l'itinerario della mostra; cioè una selezione dei migliori incipit dei documenti, dove i testatori tendono a lasciarsi andare a considerazioni generali sul senso della vita, magari togliendosi soddisfazioni di tipo letterario, e finendo a volte per regalare esempi di vera poesia.

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