Cronaca locale

Tremila euro in 3 giorni: trasferte in Svizzera a far le cavie nei laboratori

Mangiare ottimo, personale cordiale, camere decorose. «E poi vuoi mettere, l’aria della Svizzera è più buona», dice Luca. Non è la descrizione di una tranquilla vacanza in un hotel oltralpe. Luca, 21 anni, studente universitario milanese, sta parlando dell’Ipas di Ligornetto. Una clinica privata per sperimentazioni di farmaci su persone sane. Luca è una cavia umana.
Gli esperti la chiamano Fase 1. È uno dei passaggi necessari per testare l’efficienza e la pericolosità di un medicinale. Gli scienziati giurano sia indispensabile e priva di rischi. In pratica si somministrano nuovi farmaci per verificarne gli effetti su di un corpo sano. Luca è il corpo sano in questione. «Ci sono andato solo una volta. I miei genitori non lo sanno neanche. Mi hanno pagato 600 euro per due giorni». Fa niente se è stato bombardato di antibiotici. Per alcune sperimentazioni più «pesanti» si arriva a guadagnare anche tremila euro. Il gioco vale la candela. «Ho potuto pagarmi l’affitto di un mese e mezzo con quanto ho guadagnato. Facendo il cameriere avrei dovuto lavorare almeno venti giorni per tirare su gli stessi soldi».
La felicità di Luca è quella di molti universitari milanesi. Pendolari che oltrepassano la frontiera nel weekend per vendere la propria salute a suon di franchi svizzeri. Il rischio non lo calcolano neanche. Se gli racconti di quei sei poveri ragazzi finiti in coma dopo una sperimentazione di farmaci per la cura dell’artrite reumatoide a Londra nel 2006, Luca aggrotta le ciglia, ma non si preoccupa più di tanto. «Sul serio è successo? Boh, sarà stato un caso». L’85 per cento dei volontari per test di Fase 1 in Svizzera sono italiani. Quasi tutti studenti o disoccupati. Chi insomma è alla ricerca disperata di quattrini. Tanti vengono da Milano. Le cliniche sono appena al di là del confine, quasi tutte in piccoli paesi di poche migliaia di anime. Luoghi isolati dalle polemiche come Ligornetto, Arzo o Savosa. I ragazzi vengono reclutati via Internet, ma spesso è il passaparola negli atenei ad attirare la maggior parte delle cavie.
«Io ne sono venuta a conoscenza in università», dice Manuela (il nome è di fantasia), 23 anni. Pochi mesi fa è stata alla Cross research di Arzo. Si è sottoposta a una nuova cura a base di Voltaren. «Sono stata lì tre giorni per 24 ore. Mi hanno fatto una puntura al giorno alla gamba e mi sottoponevano di continuo a controlli e prelievi», spiega. Tutto è filato liscio? «Lì sono molto professionali. Appena conclusa la sperimentazione mi hanno messo in mano 700 euro in valuta svizzera. Poi però ho avvertito qualche dolore e la gamba mi si è gonfiata nei giorni successivi. Mi sentivo un po’ intontita. Per fortuna il malessere è durato poco e oggi sto benone».
Ma perché andare in Svizzera e non in Italia? Semplice, qui la ricerca di Fase 1 non è ancora decollata. Fu ammessa nel 1998 dall’allora ministro Rosy Bindi in ogni Ircss del Paese. Ma nel 2006 su 750 test su persone, solo il 2,3 per cento era di Fase 1, cioè su volontari sani. Gli altri erano su malati. Oggi vigilano sulla pratica 61 comitati etici in Lombardia e 309 in tutta Italia. «Anche io mi ero informata - racconta Manuela -. Ma qui da noi è più difficile essere reclutata. Si fanno pochi esperimenti a cui si sottopongono quasi sempre gli stessi ricercatori. Ho sentito di qualche possibilità a Catania e Pisa, ma erano lontane. Così ho seguito dei miei amici in Svizzera».
Ogni volontario sano può sottoporsi al massimo a tre sperimentazioni, ognuna distanziata di almeno novanta giorni dall’altra. Ma in tanti giurano di aver conosciuto ragazzi che hanno fatto anche cinque test. Curioso che le cavie umane abbondino anche in gruppi universitari di Comunione e liberazione. «Io sono appartenente a Cl, ma sono andata comunque in Svizzera. Me l’hanno proprio segnalato degli altri “affiliati” che lo hanno fatto prima di me», dice Lucia, 21 anni, che studia alla Statale. Ma non va contro la tua etica religiosa? «In verità non ci ho pensato. Forse sì, in effetti. Non credo sia giusto abusare del proprio corpo. Ma in quel momento ho pensato solo ai soldi facili». È proprio su questo che puntano le cliniche.

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