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Tuffi maledetti, l'estate da cancellare

Da Nord a Sud è proibito gettarsi in acqua da pontili e scogli, ma i divieti vengono ignorati soprattutto dai più giovani. Ogni giorno in centinaia sfidano la morte per pochi istanti di adrenalina. Ieri l’ennesimo incidente

Tuffi maledetti, l'estate da cancellare

Tuffi proibiti, tuffi rischiosi, tuffi mortali. L'ultimo, quello di un giovane di ventidue anni di Cologna Veneta (Verona) sulla spiaggia di piazza Mazzini, a Jesolo. Già il secondo caso nella stessa città nel giro di un mese. Tutti e due i protagonisti condannati alla sedia a rotelle. Erano le 19 di giovedì scorso quando il giovane veronese si sarebbe lanciato, o in qualche modo sarebbe finito in mare, dall'estremità del pontile. Non si è accorto che l'acqua era troppo bassa e ha sbattuto violentemente sul fondale riportando una lesione alla colonna vertebrale con conseguente paralisi degli arti inferiori.
«Quando ci si trova di fronte a questi casi c'è tanta rabbia - ha commentato il responsabile del Pronto Soccorso di Jesolo, Franco Laterza -. Rinnovo l'invito ai tantissimi bagnanti di questi giorni: non rischiate di rovinarvi la vita per un tuffo dal pontile».
Ma, a volte, la sottovalutazione del pericolo o l'insensata voglia di spericolatezza sono più forti di qualunque avviso. Come avviene ogni anno a Napoli senza che nessuno ancora sia intervenuto. Ragazzi che si tuffano dal tetto del ristorante di Borgo Marinari, da un'altezza di cinque metri, e che sfiorano le barche attraccate a pochi metri. I gestori del locale che denunciano questa situazione e la pericolosa litania che continua a ripetersi. Sono storie che ogni estate si ripetono, storie di divieti non rispettati o non segnalati, storie di tuffi spericolati. Come quelli di Agnano dove, nonostante sia proibito fare il bagno, i bambini giocano e si immergono alla foce del collettore tra gli scarichi.
Non è trascorsa una settimana dalla scossa sismica che ha fatto tremare Lipari e già i divieti imposti sono stati infranti. La conclamata prova di incoscienza l'hanno fornita tre natanti che trasportavano alcuni turisti, incuranti del rischio di frane. Come se la paura passata non li avesse minimamente colpiti. Se da un lato, come ha dichiarato il sottosegretario alla protezione civile Guido Bertolaso, «i divieti vanno fatti rispettare», anche la spericolatezza e la non osservanza delle restrizioni ad opera delle persone gioca la sua parte. Sono due facce della stessa medaglia. Due fattori che, a turno, diventano causa di tragedie o alimentano rischi che si potrebbero evitare. Rischi come quelli legati al crollo delle pareti rocciose che protendono sul mare e che interessano decine di chilometri di spiagge. In zone come queste i tuffi proibiti sono all'ordine del giorno.
«Dalle Cinque Terre, in Liguria, all'arcipelago pontino, ad Alghero, al Gargano, alcuni tratti del litorale tirrenico della Calabria, dell'Adriatico sopra Otranto, in Puglia, Alghero e Capocaccia in Sardegna, oltre alle isole come Ischia, Pantelleria, e le Eolie - ha dichiarato Sebastiano Venneri, vicepresidente di Legambiente - insomma, tutte le spiagge con coste alte e scoscese, le cosiddette falesie, particolarmente friabili per la loro origine calcarea nascondono potenziali rischi». In luoghi come questi alla scarsa prevenzione e manutenzione del territorio da parte dei comuni, ai cartelli poco visibili o assenti, spesso si aggiungono anche incoscienza e sottovalutazione dei rischi da parte dei bagnanti. Un video messo in rete e girato sull'isola di Procida (Napoli) riprende in diretta il crollo di un pezzo di costa franato a mare il 9 agosto scorso. Erano numerosi i bagnanti presenti sulla spiaggia di Chiaia, tutti «abusivi», dal momento che vigeva un divieto di passaggio e di sosta in base a un'ordinanza del 1999. Nessun ferito, per fortuna.
La stessa sorte non l'ha avuta Michele Nasca, guardia giurata, che il 19 giugno scorso, assieme al fratello, stava raccogliendo frutti di mare nella zona Foce Aloisa a Zapponeta (Foggia), anch'essa vietata ai bagnanti. Ennesimo tuffo mortale. L'uomo si sarebbe avvicinato troppo a una idrovora ed è stato risucchiato. E come non ricordare poi la tragedia dello scorso aprile avvenuta nell'isola di Ventotene dove persero la vita due studentesse di una scuola media romana, colpite da un crollo della parete di tufo a Cala Rossano. Da quel momento Ponza e Ventotene stanno facendo a gara a chi mette più divieti sulle coste, e stanno rivedendo lo stato delle pareti rocciose di tutte le isole. Il tutto nonostante entrambe siano state teatro in passato di simili incidenti. Infine c'è il capitolo inquinamento e il divieto diventa un optional ingombrante.

Un esempio su tutti: nella spiaggia di Villagrazia di Carini (Palermo) non bastano tre divieti per dissuadere le persone a farsi il bagno. Anzi la parte inquinata è più frequentata di quella pulita, nonostante i cartelli siano ben visibili.

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