VAN GOGH La Pietà dimenticata

L’artista non vide l’originale ma aveva solo una litografia

Marta Bravi

C’è attesa e trepidazione al museo Diocesiano. Un’atmosfera solenne mista a emozione. Il telefono squilla. «Sono al casello stanno arrivando». In arrivo c’è Van Gogh o meglio la Pietà di Van Gogh. Un prestito speciale per festeggiare i 5 anni dell’apertura del museo Diocesiano di Milano.
Eccola la cassa, scortata da due agenti. Accanto un restauratore dei Musei Vaticani, che ha accompagnato nel viaggio l’opera. I tecnici aprono la scatola, estraggono il quadro con i guanti, lo appoggiano sul tavolo. L’opera deve passare l’esame: si deve controllare che, durante il trasporto, non sia stata danneggiata. La esamina Paolo Biscottini, direttore del Museo, la esamina la conservatrice del museo, Nadia Righi, la esamina il restauratore. Poi si confronta l’opera con una fotografia per l’ultima verifica. La tela è fresca di restauro: nel dicembre 2001, infatti, è stata «pulita». Una firma e si può procere a fissare il quadro alla parete. Di fronte, in un allestimento «dialogico», l’altra Pietà, quella di Delacroix (arrivata nel pomeriggio) cui l’artista olandese si ispirò. Nel 1889 Vincent Van Gogh è ricoverato al manicomio di Saint Rémy en Provence in seguito a un esaurimento. La «convivenza» con Gauguin era stata burrascosa, inframmezzata da frequenti liti, scatenate dalle crisi allucinatorie di cui era vittima Van Gogh. Il taglio del lobo sinistro del proprio orecchio e la dipartita dell’amico Gauguin aveva lasciato il pittore solo e in preda all’esaurimento. «Posso assicurarti che eseguire copie mi interessa enormemente - scriveva al fratello Theo - e mi consente di non perdere di vista la figura, anche se al momento non dispongo di alcun modello... è un tipo di studio di cui ho necessità, perchè desidero imparare». Il fratello gli spedì, tra le altre, una litografia della Pietà di Eugène Delacroix (1850). Nel 1889 racconta al fratello di aver deciso di realizzare una copia del dipinto, dopo che la litografia si era danneggiata cadendo nell’olio e nei colori.
Il pittore rimase particolarmente colpito dalla Pietà per la bellezza dell’opera e per il tema. Era un Van Gogh sofferente, e il tema del dolore doveva essere nelle sue corde. Ma soprattutto è la figura della Madonna a essergli empaticamente vicina, in una sofferenza che Van Gogh trasmette con il colore, assente nella litografia modello, che era in bianco e nero. La particolarità dell’opera sta nel tema: raramente Van Gogh si cimenta in temi esplicitamente religiosi, e questo è l’unico caso in cui l’artista dipinge un Cristo, anche se ha sempre dimostrato forti inclinazioni religiose. Ma perchè dimenticata, come recita il titolo della mostra «la Pietà dimenticata di Van Gogh», realizzata in collaborazione con Il Giornale? «Dimenticata - risponde Paolo Biscottini - da chi vede in Van Gogh un epigono dell’Impressionismo e non antesignano dell’Espressionismo, e quindi di una pittura intesa come segno dell’anima, volta alla realtà interiore. È un’opera poco considerata, che raffigura un tema molto lontano dalla sua pittura. È infatti possibile riconoscere nella Pietà un senso religioso che va oltre lo stesso soggetto, tanto che non possiamo considerarlo un quadro sacro.

Inauguriamo con questa mostra, e con quella parallela “Il vangelo di Aldo Carpi” (da mercoledì al 15 aprile) con le 29 vetrate policrome che il pittore realizzò per la chiesa delle Suore del Cenacolo, l’apertura del Museo all’arte contemporanea, che vede in Van Gogh, pittore dell’interiorità, il suo padre».
La Pietà dimenticata, Museo Diocesiano, corso di porta Ticinese 95, da mercoledì al 7 gennaio (martedì-domenica, h. 10-18, biglietti 6/4 euro).

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