Fumata bianca

Caso Orlandi, tra indagini e novità che "scagionano" il Vaticano. Addio commissione?

Il monito di Mattarella contro la sovrapposizione tra organismi parlamentari e magistratura ne complica l'iter. Intanto, spunta un nuovo documento sulle indagini relative alla scomparsa di Emanuela

Caso Orlandi, serve davvero una commissione d'inchiesta in Parlamento?

Nella settimana che si avvia alla conclusione si sono registrate due non irrilevanti notizie nel caso di Emanuela Orlandi, figlia di un commesso della prefettura della casa pontificia di cui si sono perse misteriosamente le tracce a Roma il 22 giugno del 1983.

La prima si deve a Pino Nicotri, storica firma de L'Espresso e autore di ben quattro libri su un affaire lungo ormai 40 anni. L'indiscrezione del giornalista è relativa al caso di cronaca in sé. L'altra novità riguarda l'istituzione della commissione parlamentare d'inchiesta sulla scomparsa.

Nuovi dettagli sulle avances dello zio?

Questo luglio è stato il mese in cui è divenuto di pubblico dominio uno scambio di lettere risalente al settembre del 1983 in cui l'allora segretario di Stato, il cardinale Agostino Casaroli chiese e ottenne la conferma da monsignor José Luis Serna Alzate, consigliere spirituale della famiglia Orlandi ai tempi della sua permanenza romana alla sede dell'Istituto missioni Consolata, dell'esistenza di attenzioni morbose da parte dello zio Mario Meneguzzi nei confronti della nipote più grande, Natalina Orlandi, che sarebbero avvenute nel 1978.

La sorella di Emanuela ne parlò - ma non in confessione - al religioso all'epoca dei fatti e quest'ultimo confermò l'episodio in una lettera di risposta all'allora numero due della Santa Sede scritta tre mesi dopo la scomparsa di Emanuela. A parlarne a Casaroli, come rivelato dal Tg La7 in base a quanto scritto dal cardinale, furono ambienti investigativi romani. Quindi, gli inquirenti italiani dell'epoca attenzionarono Mario Meneguzzi, portavoce della famiglia nei delicati giorni successivi alla scomparsa presumibilmente dopo essere venuti a conoscenza di quest'episodio di cinque anni prima.

Ma come facevano le autorità a essere a conoscenza di quelle che Natalina, in una conferenza stampa organizzata il giorno dopo al servizio del telegiornale di Enrico Mentana, ha definito avances? "Ne parlai al mio fidanzato, oggi mio marito, e al nostro confessore di famiglia", ha raccontato la primogenita degli Orlandi. In un articolo pubblicato su Blitzquotidiano.it, il giornalista Pino Nicotri sostiene che nelle carte giudiziarie relative al caso esisterebbe un rapporto datato 30 agosto 1983 con quest'oggetto: "Relazione di servizio inerente dichiarazioni confidenziali rilasciate da Andrea Ferraris, fidanzato della signorina Natalina Orland, sorella maggiore di Emanuela, ad ufficiale di questo Reparto, circa un episodio avvenuto cinque anni orsono tra la Natalina stessa e lo zio Mario Meneguzzi".

L'indagine saltata

Secondo Nicotri, se il documento fosse autentico dimostrerebbe che il "primo a riferire direttamente ai carabinieri e in via confidenziale quelle avances sarebbe infatti stato il 30 agosto 1983 lo stesso fidanzato di Natalina, Andrea Ferraris, diventato in seguito suo marito". Non solo: il giornalista fa notare che "sarebbero quindi state queste asserite confidenze a mettere in moto il meccanismo sfociato nei successivi giorni del settembre ’83". Stando così le cose, sembrerebbe che l'allora titolare dell'inchiesta Domenico Sica ritenne di mettere sotto la lente d'ingrandimento la figura di Meneguzzi presumibilmente dopo aver appreso delle avances del '78 su Natalina, sebbene occorra ricordare che quell'episodio non può essere considerato in alcun modo una prova della colpevolezza dello zio nella sparizione dell'altra nipote avvenuta cinque anni dopo.

Meneguzzi, che in quei primi mesi era finito al centro dell'attenzione mediatica dopo aver assunto l'incarico di interlocutore del telefonista che sosteneva di avere in ostaggio Emanuela senza mai dare riscontri concreti del suo essere in vita, fu pedinato dalla squadra mobile senza successo. Accortosi di essere seguito da una macchina, lo zio di Emanuela fornì la targa all'allora giovane agente del Sisde Giulio Gangi - conoscente dei Meneguzzi - che gli confermò come quella fosse una vettura nella disponibilità delle forze dell'ordine.

Quest'ultima circostanza è stata raccontata dallo stesso Gangi - morto lo scorso novembre - a Nicotri che l'ha riportata nel suo libro Emanuela Orlandi. Il rapimento che non c'è. Tempo fa, l'ex agente raccontò su un gruppo Facebook la sua versione sull'allontanamento dal Sisde all'inizio degli anni '90 addebitandolo ad un "'appunto' anonimo, non intestato, nel quale venivo accusato di aver svolto 'inopportune indagini sul caso Orlandi'".

L'alibi

Emersa la vicenda delle attenzioni nei confronti di Natalina, la famiglia di Meneguzzi ha deciso far quadrato per difendere la memoria di Mario, deceduto nel 2009. La vedova Lucia e i figli Giorgio e Monica hanno reagito con un comunicato respingendo le "allusioni più o meno esplicite sulla figura di Mario, paventando una sua dubbia moralità e, addirittura, un possibile coinvolgimento nella scomparsa della povera Emanuela". Un altro figlio, Pietro, ha parlato invece ai microfoni di Quarto Grado esprimendo dubbi sulle avances del 1978 di cui sarebbe stata vittima Natalina Orlandi per mano del padre Mario. "Io ho saputo in conferenza stampa quello che è stato dichiarato da mia cugina però la verità è unilaterale, è una cosa che dice lei", ha affermato Pietro Meneguzzi. Su quelle che monsignor José Luis Serna Alzate chiamò "attenzioni morbose" nella lettera al cardinal Casaroli, dunque, sembrerebbe non esserci una piena sintonia tra la primogenita Orlandi e la famiglia Meneguzzi.

Tra la conferenza stampa degli Orlandi dell'11 luglio e l'intervista alla trasmissione di Rete4 di Pietro Meneguzzi c'è intesa sull'alibi dello zio Mario per la giornata del 22 giugno 1983: era nella sua casa in montagna nel reatino. Il giornalista Tommaso Nelli ha riportato su Spazio70 il verbale dell'interrogatorio che il giudice istruttore Ilario Martella fece nel 1985 allo zio di Emanuela e nel quale spiegò di essere stato informato dal cognato Ercole della scomparsa della nipote mentre si trovava in "località Torano di Borgorose, a circa 110 km da Roma" dove era giunto la "mattina dello stesso giorno insieme con mia moglie, mia figlia Monica e mia cognata Anna Orlandi". Avvertito attorno alla mezzanotte, lo zio si trovava con i familiari più stretti nella seconda casa ad un'ora di macchina dalla Capitale.

La presenza della cognata Anna a Borgorose è stata in questi giorni oggetto di discussione tra gli appassionati al caso perché nel libro Mia sorella Emanuela. Sequestro Orlandi: voglio tutta la verità scritto con il giornalista Fabrizio Peronaci, Pietro Orlandi colloca la zia Anna a cena nell'appartamento dietro a porta Sant'Anna in quelle drammatiche ore di attesa del ritorno di Emanuela la sera del 22 giugno 1983. Il libro è del 2011 mentre il verbale dello zio Mario è del 1985, due anni dopo il fatto: Pietro potrebbe aver ricordato male quest'aspetto relativo alla serata che ha cambiato la vita della sua famiglia.

Commissione in salita

L'altra notizia della settimana è relativa all'istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sulla scomparsa della ragazza chiesta a gran voce dal fratello Pietro nell'ultimo mese ha alzato i toni attaccando duramente Enrico Mentana, Pino Nicotri e Dagospia per aver dato spazio al carteggio Casaroli-Alzate. Secondo l'uomo, "stanno facendo e faranno di tutto affinché la commissione parlamentare sia affossata", aggiungendo che "se continuano ad usare manovalanza come Nicotri, Mentana, Dagospia e chissà chi altri , vuol dire che ormai stanno alla frutta".

Dopo il via libera unanime all'istituzione arrivato a fine giugno, però, non ci sono solo le nuove rivelazioni a far sorgere più di un dubbio sull'opportunità di far nascere questa commissione. Nei giorni scorsi, infatti, sono arrivate le parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella che alla cerimonia della consegna del ventaglio da parte della stampa parlamentare ha lanciato un monito chiaro: "Iniziative di inchieste con cui si intende sovrapporre attività del Parlamento ai giudizi della magistratura si collocano al di fuori del recinto della Costituzione e non possono essere praticate", aggiungendo che "non esiste un contropotere giudiziario del Parlamento, usato parallelamente o, peggio, in conflitto con l’azione della Magistratura". Il capo dello Stato ha parlato, ovviamente, in termini generali ma è difficile non leggere nelle sue parole un riferimento alle due commissioni d'inchiesta più note tra quelle che potrebbero vedere la luce in questa legislatura: quella sul Covid e quella sul caso Orlandi.

Anche perché, nel frattempo sia il promotore di giustizia vaticano che la procura di Roma hanno aperto un fascicolo sulla scomparsa avvenuta quarant'anni fa determinando la possibilità di una sovrapposizione, proprio ciò che Mattarella ha invitato a scongiurare nel caso delle commissioni d'inchiesta parlamentari. In un editoriale su Il Riformista, Matteo Renzi ha osservato a proposito di ciò: "Che senso ha fare una commissione di inchiesta del Parlamento italiano per attribuire a Papa Giovanni Paolo II responsabilità nella terribile vicenda Orlandi?".

In effetti, nella conferenza stampa dell'11 luglio, Pietro Orlandi è tornato a premere sull'istituzione dell'organismo parlamentare ed hainoltre rivendicato la presunta importanza della documentazione da lui consegnata al promotore di giustizia vaticano Alessandro Diddi. Tra quella documentazione c'era la registrazione rubata al pregiudicato romano Marcello Neroni con accuse gravissime e totalmente infondate nei confronti, addirittura, di papa Wojtyla. Un'eventuale commissione parlamentare d'inchiesta dovrebbe indagare anche su quella che papa Francesco ha bollato come "una cretinata"? Il rischio c'è ed avrebbe anche un costo. Infatti, mentre l'ufficio del promotore di giustizia vaticano e la procura di Roma proseguono nelle loro indagini, anche i parlamentari sarebbero chiamati ad indagare in un organismo che dovrebbe costare 50mila euro l'anno tra personale, locali e strumenti operativi vari.

È quanto si legge nel testo che ha accorpato le proposte di legge di tre deputati del centrosinistra per l'istituzione della commissione e che già nella premessa non è incoraggiante sulla precisione delle indagini da realizzare: vi si legge, infatti, che l'organismo si dovrebbe concentrare sulla "scomparsa di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori, avvenute nel 1985, a distanza di un mese l'una dall'altra, in circostanze mai chiarite".

Peccato che, come è noto, la sparizione di Emanuela risale al 22 giugno del 1983 mentre quella di Mirella Gregori - per la quale non è mai stato accertato alcun concreto legame con la precedente - sia avvenuta il 7 maggio 1983.

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