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Vendola difese i pedofili. Oggi ci querela

Il governatore pugliese annuncia: farò causa al "Giornale". Ma la tesi sostenuta quand’era dirigente della Fgci è eloquente. Dopo la battuta del premier, la sinistra ribalta la realtà e s’inventa la favola dei gay discriminati. Il capo del Sel scrive un sms a Sgarbi: "Mi dispiace doverti denunciare"

Vendola difese i pedofili. Oggi ci querela

La notizia arriva, laconica, via sms: «Mi spiace doverti querelare». È un messaggio di Nichi Vendola, nel suo stile sentimentale, con una piega dolente. Gli dispiace, ma non può non farlo. Fatico un po’ a capire, poi penso al mio articolo sul Giornale in cui cito, fra virgolette, una dichiarazione di Vendola che mi ha trasmesso la redazione del Giornale stesso: la frase non è ambigua, ma forse equivoca. Vendola parla del «diritto dei bambini a una loro sessualità, ad avere rapporti tra loro e con gli adulti». Allo stesso concetto fanno riferimento anche Feltri e Giovanardi. Querelati, meno affettuosamente, anche loro. Lo sapranno da un comunicato stampa. Ora io, come Busi (e penso anche al comportamento conclamato di alcuni preti) ho sempre ritenuto che, come le pulsioni eterosessuali, anche quelle omosessuali si manifestassero già nell’adolescenza, certamente fra gli undici e i tredici anni, come io ricordo perfettamente degli «atti impuri», ammessi nelle confessioni in collegio (così si chiamava la masturbazione).
Quindi non mi scandalizzo di una possibile relazione fra omosessualità e pedofilia. Vedo che oggi Vendola nega l’evidenza. Non credo infatti voglia querelarmi per avere stigmatizzato i suoi discorsi vittimistici nella prevalente retorica del politicamente corretto, quando si rivolge a Berlusconi dicendo: «Se un tuo figlio, un tuo amico, un tuo ministro fosse gay, pensa a quanta gratuita sofferenza gli staresti infliggendo». Nessuna, io credo, per le battute all’antica del premier. Infatti, nonostante l’esperienza sua e di Vladimir Luxuria, assurti ai vertici della politica e della televisione senza essere nati ricchi o nella condizione che essi ritengono privilegiata di artisti, registi, attori, categorie che non vivrebbero le discriminazioni dei gay di classi sociali più deboli (non mi pare che Natalie, trans ed extracomunitaria, sia stata discriminata se godeva delle attenzioni, pur stando nel mondo sdrucciolevole della prostituzione, di un presidente di Regione, ed essendo stata, con i suoi compagni di esperienza umana, protagonista di tutte le principali trasmissioni televisive pubbliche e private), continuano a fingersi discriminati. Il ribaltamento della frase del premier ristabilisce l’ordine delle cose, in una oggettiva par condicio: «Meglio gay che appassionati di belle ragazze». Qualcuno si scandalizza? Abbiamo dunque riconosciuto, al di là della consacrazione matrimoniale, l’assoluta normalità della condizione gay. Non più «diversi», ma normali. Sono finiti i tempi dei froci e dei finocchi; ed appare «naturale», «normale» essere gay. Qualcuno ha discriminato Vendola? O Zeffirelli? O Busi? O Platinette? Qualcuno ha interdetto a Platinette la presenza nelle reti Mediaset? Dunque di quale discriminazione parliamo?
Leggendo ieri Il Fatto scopro che il ribaltamento è a tal punto compiuto che appare anormale se non innaturale, essere eterosessuali. Sta capitando qualcosa di strano. Lungi da me l’intenzione di voler difendere Daniela Santanchè, spesso dogmatica e irritante, non riesco a capire come le possa essere contestato il diritto di affermare, come fosse il colmo della faziosità berlusconiana (annoverandola, con ciò, tra «i missionari di B., pronti a tutto pur di coprire le malefatte del premier»): «Mio figlio ha 14 anni e sono contenta che sia etero, mi sembra evidente che tutte le mamme preferiscano un figlio eterosessuale». Il commento, ironico, è: «Ha dichiarato, per dire, alla Zanzara su Radio 24». In quel «per dire» c’è tutta la spocchiosa indignazione di chi trova enorme una considerazione ovvia. Ciò che è cambiato non è il desiderio di avere un figlio eterosessuale, cosa naturale, ma la reazione di un genitore, oggi certamente più umana e comprensiva, alla rivelazione dell’inclinazione omosessuale del figlio. Perfino la madre di Vladimir Luxuria ha dichiarato di aver sofferto nello scoprire l’orientamento sessuale del figlio. Oggi si dovrebbe immaginare un genitore che desidera che il figlio sia omosessuale.
Comunque siamo querelati. Dovremo stare attenti a parlare. E, presto, anche a pensare. Frattanto uno scrittore sensibile e una persona gentile come Francesco Merlo può scrivere, davanti al nulla dei divertimenti privati del presidente del Consiglio, in tutto simili a quelli descritti nel capolavoro di Vitaliano Brancati (siciliano come Merlo), Il bell’Antonio: «Berlusconi è dentro ogni genere di scandalo economico, giudiziario, politico, morale e ideale... Dal malgoverno ai sospetti di collusione con la mafia, dall’abuso sulle minorenni alla cessione di pezzi di Stato come compensi sessuali». La sua è una «sottocultura malata». E ancora: «Berlusconi è sempre fuori controllo... Irresponsabile quando, come un furbo malvivente, scardina il potere della polizia e irresponsabile quando si concede ai bagni di folla...» (sic!); «in quella battuta sui gay c’è infatti la sua tragedia, c’è il desiderio sessuale ridotto a barlume, c’è il Viagra». E infine: «E c’è chi deve accettare la perdita del posto di lavoro per consentirgli di violare le minorenni». Addirittura!
Dalla divertente vicenda di Ruby che vede Berlusconi come la Caritas, discende questo. Ma Berlusconi querelerà Merlo? Non credo, anche perché pare (Merlo) aver perso la testa. Il quale conclude, dolente: «Non se la prendano a male le comunità gay che, comprensibilmente, pretendono ora le scuse di Berlusconi». Ma cosa sono le «comunità gay»? Forse Merlo le confonde con la comunità ebraica. Pensando al ghetto in cui ancora immagina nascosti gli omosessuali. Non c’è una comunità omosessuale, come non c’è una comunità eterosessuale. Si è etero o omosessuali individualmente. Merlo non lo ha ancora capito (Vendola, finge, ma lo sa). Berlusconi l’ha capito e fa, come può (se non fosse circondato da guardoni, anche giornalisti), i cazzi suoi.

Non glielo consentono.

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