Cronache

Figlia di un boss camorrista indosserà la toga da giudice

Nel Napoletano la malavita miete morti. Ma lei ha vinto il concorso in magistratura e combatterà le faide con la forza della legalità

Figlia di un boss camorrista indosserà la toga da giudice

Lei è a un passo dall'ingresso in magistratura, il papà invece è un esponente di rango della camorra imprenditrice di Castellammare di Stabia, paesone della provincia sud di Napoli dove nel 2009 fu ammazzato un consigliere comunale del Pd. A uccidere Gino Tommasino davanti al figlio di dodici anni, quel giorno, fu un affiliato iscritto allo stesso partito che poche settimane prima dell'agguato aveva addirittura partecipato alle primarie per l'elezione del segretario cittadino dem. Il diritto e il rovescio della giustizia italiana si rintracciano anche in questi complicati racconti di vita. Storie che mettono a dura prova il precetto biblico sulle colpe dei padri che (non) devono ricadere sulla prole.

La giovane potrebbe infatti ben presto trovarsi a frequentare le aule di tribunale con la toga sulle spalle se riuscirà a superare le selezioni successive, mentre l'altro si trova invischiato - come un insetto avvicinatosi troppo alla carta moschicida - in una storiaccia di estorsioni e rapporti con la delinquenza organizzata. E se alla giovane donna toccherà, in futuro, indagare sul genitore o sui suoi soci in affari che cosa succederà? Che cosa farà? La promessa pm è incensurata, bisogna specificare. Non c'è alcuna ombra nel suo curriculum. Anzi, pare che sia brava. E sinceramente animata da buone intenzioni considerato che tempo fa ha vinto pure il concorso per entrare in polizia. Il padre, al contrario, spunta in diversi verbali di collaboratori di giustizia dell'area stabiese, una delle zone a più alta densità mafiosa della regione dove il confine tra imprenditoria deviata, malaffare e politica è così sfumato da renderlo quasi impercettibile. In particolare, di lui parla il boss Salvatore Belviso, ex capo del gruppo di fuoco del clan D'Alessandro, condannato proprio per l'omicidio Tommasino. Il collaboratore - secondo quanto Il Giornale è riuscito ad accertare - riferisce di specifici episodi illeciti che vedono protagonista il papà della candidata e dei suoi rapporti d'affari con la mafia maranese, quella che negli anni Ottanta offriva protezione a Poggio Vallesana a Totò Riina e a Leoluca Bagarella. Pure altri due ex camorristi ne hanno riferito agli investigatori in relazione ai suoi investimenti immobiliari nella provincia sud del capoluogo. È un uomo di grandi e consolidati rapporti criminali, il padre della giovane donna. Abituato a tessere senza grande clamore relazioni d'affari e di amicizia. Ed è anche un abile manager, fortunato negli affari così come nella spericolata corsa sul ciglio del precipizio penale. In uno degli alberghi di proprietà dell'uomo, infatti, negli anni scorsi è stato arrestato dalle forze dell'ordine un latitante inseguito da un mandato di cattura per estorsione. Il bandito si era rifugiato nella struttura, che si trova nell'hinterland vesuviano, confidando - è l'ipotesi degli inquirenti - nella «protezione» offertagli dalla famiglia dell'imprenditore che solo la caparbietà di un gruppo di sbirri è riuscita a infrangere. Tempo addietro, un'altra società della galassia controllata dal genitore del futuro pm aveva assunto un camorrista. Il padrino, componente anche lui del gruppo di fuoco del clan D'Alessandro, aveva potuto godere così di permessi premio e di un trattamento detentivo meno gravoso rispetto a quello originario proprio perché, con quel contratto, poteva dimostrare di aver cambiato vita. Non era così, ma andava bene lo stesso.

È probabile che lei, di tutto questo, non sappia nulla o nutra solo qualche sbiadito sospetto. E forse il suo desiderio di indossare una toga potrebbe essere una ribellione al male vissuto e visto finora.

Sarebbe un modo shakespeariano di vendicarsi.

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