Destinazione del Tfr: cosa conviene scegliere?

I dipendenti possono decidere, tacitamente o in modo esplicito, se lasciarlo in azienda o conferirlo alla previdenza complementare. È importante però conoscere vantaggi e svantaggi dell’una o dell’atra scelta

Destinazione del Tfr: cosa conviene scegliere?

A partire dagli anni Duemila, ciascun lavoratore che si trovi di fronte a un contratto di assunzione sa che con esso si riceve anche il modulo per la scelta della destinazione del Tfr. Pur se non riconsegnato, questo documento produce comunque ricadute sul “destino” del Tfr, dal momento che non scegliere significa lasciarlo in azienda. Ma cos'è esattamente il Tfr? E cosa è meglio fare, lasciarlo al datore di lavoro o approfittare della previdenza complementare? Capiamolo insieme.

Che cos’è il Tfr

Con Trattamento di fine rapporto (Tfr), spesso indicato anche come liquidazione, si intende una parte della retribuzione del lavoratore dipendente che viene accantonata mensilmente dal datore di lavoro ed erogata alla cessazione del rapporto lavorativo. Un piccolo patrimonio che il datore di lavoro accumula per il lavoratore nel corso degli anni, per aiutare a pianificare il futuro previdenziale.

Il Tfr corrisponde a 1/13,5 della retribuzione annua, ovvero il 7,41%, di cui lo 0,50% va versato al Fondo pensioni dei lavoratori dipendenti presso l'Inps come "miglioramento" pensionistico. Il Tfr netto equivale al 6,91% della retribuzione lorda annuale. Dal 2005 è stata data facoltà ai lavoratori dipendenti di destinare il Tfr alle forme pensionistiche complementari. Comunicando la scelta entro sei mesi dall'assunzione, il lavoratore può lasciarlo in azienda e ritirarlo al termine del rapporto di lavoro (in questo caso, con rivalutazione all'1,5% più il 75% dell'indice Istat dei prezzi al consumo), o farlo confluire in un fondo pensione, di secondo o terzo pilastro (adesione collettiva o individuale), per integrarlo all'assegno pensionistico pubblico al momento del ritiro definitivo dal lavoro.

Scegliere di lasciare il Tfr in azienda permette di cambiare idea successivamente, mentre destinarlo alla previdenza complementare costituisce una decisione irrevocabile, almeno finché si lavora presso quell'azienda.

Tfr in azienda

Lasciare il Trattamento di fine rapporto in azienda può risultare vantaggioso perché non comporta costi aggiuntivi per il dipendente. Viene inoltre corrisposto interamente al momento del pensionamento o in caso di cambio lavoro. Inoltre, il Tfr lasciato in azienda è sotto controllo diretto del lavoratore, che sa esattamente dove si trova il suo denaro e come viene gestito.

I dipendenti che decidono di mantenere il Tfr in azienda vedono gestirsi l'importo stesso in due modi differenti, a seconda delle dimensioni aziendali: per le aziende fino a 49 dipendenti, la gestione è di competenza del datore di lavoro; per le realtà con almeno 50 dipendenti, il datore di lavoro versa il Tfr maturato al Fondo tesoreria Inps. Nel secondo caso, il versamento al Fondo tesoreria è dovuto per tutti i lavoratori, ad eccezione dei dipendenti con rapporto di lavoro a termine di durata inferiore a 3 mesi, di quelli a domicilio, domestici, stagionali del settore agro-alimentare, impiegati, quadri e dirigenti del settore agricolo, assicurati per il Tfr presso Enpaia, e ancora dei lavoratori per i quali i Ccnl (o gli accordi di secondo livello) prevedono l’accantonamento di quote Tfr maturate presso soggetti terzi (come ad esempio i lavoratori dell’edilizia il cui Tfr è accantonato presso le Casse edili) o la liquidazione periodica.

In sede di cessazione del rapporto le quote accantonate (e rivalutate) di Tfr veranno anticipate in busta paga dal datore di lavoro, che recupererà nei confronti dell'Inps le somme anticipate in cedolino, utilizzandole come credito che diminuirà l'ammontare dei debiti dovuti con F24 all'Inps.

Le quote di Tfr accantonate presso il Fondo tesoreria vengono rivalutate con le stesse modalità previste per le somme rimaste in azienda. L'unica differenza è che la rivalutazione, così come la quota mensile di Tfr, è a carico dell'Inps. La rivalutazione del fondo si calcola applicando un tasso costituito dal valore fisso dell'1,5% più il 75% dell'aumento dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall'Istat, rispetto al mese di dicembre dell'anno precedente. Di conseguenza, alla cessazione del rapporto (o nelle ipotesi di anticipo del Tfr) al dipendente spetterà la somma delle due componenti, cioè accantonamento annuale + rivalutazione.

Il riscatto anticipato è possibile al 100% in caso di perdita o cambio lavoro, mentre nella previdenza complementare è al 50% dopo un anno di disoccupazione o al 100% dopo quattro anni di disoccupazione, o ancora, in caso di invalidità superiore al 66%.

Per contro, lasciando il Tfr in azienda, il lavoratore non diversifica i propri risparmi pensionistici, che restano legati al destino finanziario di una singola entità; i rendimenti del Tfr lasciato in azienda sono generalmente inferiori a quelli che potrebbero essere ottenuti tramite fondi pensione, che investono in una varietà di strumenti finanziari e hanno potenziale per rendimenti più alti. Se poi l'azienda dovesse fallire o trovarsi in gravi difficoltà finanziarie, il recupero del Tfr potrebbe essere compromesso o ritardato. Quanto alla tassazione, lasciandolo in azienda, al momento della liquidazione si applicherà l’aliquota media Irpef degli ultimi 5 anni, dal 23% al 43% sull’intero ammontare del Tfr.

Tfr e previdenza complementare

Decidere di conferire il Tfr alla previdenza complementare, al di là di un’ulteriore tutela pensionistica, può offrire anche vantaggi come anticipazioni fino al 75% per spese mediche da subito, fino al 75% per acquisto o ristrutturazione della prima casa dopo 8 anni, e fino al 30% per qualsiasi motivo dopo 8 anni; un contributo aggiuntivo dal datore di lavoro (attorno all’1% della retribuzione lorda), ma solo in caso di adesione esplicita al fondo pensione negoziale ad adesione collettiva. I fondi pensione offrono spesso diverse opzioni di investimento e piani di risparmio, che possono essere più adatti alle esigenze e alle aspettative di rendimento individuali del lavoratore. La tassazione è agevolata e varia dal 9% al 15% in base agli anni di permanenza nel fondo. È bene anche ricordare che l’adesione alla previdenza complementare, sia con modalità esplicita che tacita, dà diritto alla completa deducibilità dal proprio reddito per i versamenti effettuati fino alla soglia annua di 5.164,57 euro.

D’altro canto, i fondi pensione possono applicare costi cosiddetti di "caricamento" (equiparabili a spese per apertura conto e commissioni). È importante essere consapevoli di tali spese e capire come influenzano il rendimento complessivo del proprio investimento. Le commissioni di gestione applicate dai fondi pensione potrebbero essere viste come un onere aggiuntivo, ma bisogna anche considerare che possono essere compensate da un rendimento potenzialmente superiore del fondo pensione nel lungo termine.

Altro elemento che potrebbe generare incertezza è il rendimento incerto o negativo del fondo pensione. A tale proposito, è importante comprendere che i fondi pensione investono in diversi asset, e dunque il rendimento può variare in base alle condizioni di mercato. Nel lungo termine, se ben gestiti, i fondi pensione tendono a offrire rendimenti competitivi rispetto ad altre opzioni di investimento.
In caso di dubbi o perplessità, ci si può sempre affidare ad un consulente previdenziale, soprattutto qualora vi fosse necessità di essere assistiti e consigliati riguardo la gestione del capitale accumulato e sull’accesso allo stesso nel lungo periodo.

Quanto rende

Come detto, il Trattamento di fine rapporto in azienda viene rivalutato ogni anno con un tasso dell'1,5% più il 75% dell'indice Istat inflazione. Nessun titolo di Stato o gestore finanziario garantisce tale rendimento. Nella previdenza complementare, la rivalutazione dipende dalla strategia scelta e dall'andamento dei mercati. Guardando agli ultimi 10 anni, ad esempio, il Tfr in azienda si è rivalutato in media del 2,4%, mentre i fondi pensione hanno reso in media il 2,9%. Vista così non parrebbe una grande differenza ma, non prendendo in considerazione il 2022, annus horribilis per i mercati, il divario sarebbe del +1,9% per il Tfr in azienda e del +4,9% per i fondi pensione.

Scelta tacita: cosa comporta

La scelta della destinazione del Tfr può avvenire con modalità esplicita (cioè con la riconsegna del modulo compilato) o tacita (silenzio-assenso alla previdenza complementare). Tramite l'adesione tacita, per le aziende con più di 50 dipendenti, questa parte di retribuzione viene trasferita alla forma pensionistica prevista dagli accordi collettivi, ma senza il contributo aggiuntivo previsto in caso di adesione esplicita.

In assenza di forme pensionistiche collettive, il Tfr va alla forma pensionistica istituita presso l'Inps. In ogni caso, è sempre preferibile esprimere chiaramente la propria volontà, anziché “affidarsi” alla scelta tacita.

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