La disoccupazione non guarda in faccia la provenienza. E anzi a molti stranieri capita di arrivare in Italia pieni di speranza, fiduciosi di poter trovare un posto di lavoro, e di rimanere invece senza occupazione. Nessuna attività possibile, nemmeno in quelle attività così dette “umili”, quei lavori che gli italiani - così si dice - non vogliono più fare e non desiderano neppure per i propri figli.
La situazione si è complicata con la crisi del 2008 ed è da allora che il numero di disoccupati stranieri è in crescita, più di quanto accada tra gli italiani. Detto in altri termini, la crisi ha colpito più duramente la popolazione straniera rispetto a quella italiana.
Qualche numero, tratto da una ricerca della Fondazione Leone Moressa: su 2,2 milioni di lavoratori stranieri occupati, 310 mila stranieri sono disoccupati, vale a dire il 12,1% della popolazione straniera (in media, il tasso di disoccupazione in Italia è più basso di circa quattro punti). Ma soprattutto, tale disoccupazione ha conosciuto un incremento quasi del 50% dal 2008 al 2011. I nuovi disoccupati stranieri sono 148 mila e rappresentano un terzo della nuova disoccupazione in Italia. Incidenze più elevate dei disoccupati stranieri si rilevano in Liguria (88,2%), Sicilia (62,2%) e Umbria (55,5%).
I 2,2 milioni di occupati stranieri che si contano in Italia rappresentano il 9,8% di tutti i lavoratori. E molti dati interessanti vengono fuori anche grazie alla nazionalità. La più rappresentata è la Romania, con oltre mezzo milione di soggetti. Ciò vuol dire che un quarto di tutti i lavoratori stranieri presenti in Italia sono rumeni. Seguono albanesi (232 mila) marocchini (147 mila) e ucraini (132 mila).
Oltre la metà della metà degli uomini (54,0%) e oltre i tre quarti delle donne (77,5%) ricoprono mansioni dalla bassa qualifica. Tra gli uomini, le professioni più diffuse sono legate al settore delle costruzioni (15,7%), quindi muratori, carpentieri e ponteggiatori. Seguono facchini, magazzinieri e addetti alle consegne (5,4%), esercenti o addetti nelle attività di ristorazione (5,3%).
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