In 22 «inchiodano» il maniaco dell’ascensore

Piero Pizzillo

Sono terminati ieri gli interrogatori e le ricognizioni delle vittime del cosiddetto «maniaco dell’ascensore». Su 26 ragazze dai 12 ai 16 anni (qualcuna anche di 18), ben 22 hanno riconosciuto il loro aggressore nel barista ventottenne Edgar Bianchi, mentre solo per quattro il confronto all’americana ha avuto esito negativo. L’indagato (difeso dall’avvocato Gianstefano Torrigino), ancora in isolamento in una cella del carcere di Pontedecimo, è rimasto sempre tranquillo nel corso dei confronti (due delle ragazzine lo ha riconosciuto anche quando gli inquirenti hanno fatto indossare all’inquisito il casco da motociclista che portava nel corso delle aggressioni). Ad accusare Bianchi non vi sono solo le testimonianze di quattro persone che lo hanno visto dentro l’ascensore o vicino al portone, tra cui il padre di una ragazza, i riconoscimenti delle ragazze e due impronte chiarissime lasciate sugli ascensori, ma soprattutto tre prove «regine». Dall’esame del sangue, liquido seminale e peli, trovati sul luogo delle violenze, è emerso che v’è corrispondenza con il dna eseguito su tazzina e cicca di sigaretta prelevati dagli agenti della squadra mobile in un bar di via Malta dove lavorava Bianchi. A inchiodarlo il fiuto un poliziotto, che, entrato per caso nel locale, ha ritenuto di riconoscerlo.

L’agente, con uno stragemma, ha preso tazza e mozzicone, consegnati al medico legale, che ha rilevato il dna. Bianchi, accusato di violenza sessuale aggravata, rischia da 6 a 12 anni, pena che potrebbe essere triplicata per la continuazione dei reati. Ieri il gip ha conferito l’incarico per la perizia psichiatrica.

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