Addio a Cossery, il «Voltaire del Nilo»

Lo chiamavano il «Voltaire del Nilo», per la sua fine ironia. Indubbiamente era uno dei più atipici intellettuali di Francia e d’Europa. Non foss’altro per quella sua abitudine, da dandy di altri tempi, di abitare in una stanza d’albergo. La stessa dal 1945 a oggi, la numero 77 del piccolo Hotel La Louisiane, in rue de Seine, a Parigi. Ma ricordare Albert Cossery, che si è spento domenica, a 94 anni, a partire dai suoi comportamenti da flâneur elegante, che pure erano sostanza e non posa, sarebbe fargli torto.
Cossery nel suo scrivere lo stretto indispensabile, nel suo tornare spesso sugli stessi temi, è stato un genio letterario vero. Capace come pochi altri di raccontare all’occidente il senso arabo di vivere con niente del distaccarsi dalle cose materiali per cercare nel piccolo, nel quotidiano la gioia di vivere.
Nato nel 1913 da una famiglia di piccoli proprietari terrieri egiziani, che abitavano nel quartiere di Fegallah al Cairo, questo scrittore ha conosciuto la letteratura direttamente in francese, sui banchi dei Frères des écoles chrétiennes. Il francese diventa per lui la lingua dei libri, quella in cui tradurre il mondo dei vicoli cairoti conosciuti durante i giochi della sua infanzia. Il francese diventa uno strumento per emulare il suo eroe di penna Honoré de Balzac. Trasferitosi a Parigi, che non lascerà mai più, scrive nel (1941) Gli uomini dimenticati da Dio (appena ripubblicato in Italia da Rizzoli). Cinque racconti che, come un mosaico, effigiano la storia del Cairo che fu. Il romanzo lo proiettò nel mondo letterario, lo fece apprezzare da Camus e da Henry Miller, dal bel mondo parigino.
Cossery ne approfittò, da gaudente, ma evitò di farsi appiccicare qualsiasi etichetta. Continuò a sfornare con apatica lentezza romanzi dedicati ai marginali alla racaille : Mendicanti e orgogliosi, Un complotto di saltimbanchi, La violenza e l’irrisione, I fannulloni nella valle fertile. Senza per questo trasformare la sua scrittura in «denuncia» o ideologia.

Ecco spiegato perché la sua fortuna letteraria in Francia è stata altalenante (è stato riscoperto a pieno solo negli ultimi vent’anni) e in Italia è rimasto in ombra. A lui del resto della fama importava poco o nulla. Preferiva le belle donne o eventualmente i libri. Quasi fosse un Angiolieri moderno.

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