Roma - Non è un giorno qualunque per Rifondazione, e non lo è per il segretario Franco Giordano, che compulsa il suo cellulare nel cortile di Montecitorio. I dati che via via arrivano dalle fabbriche, per quanto frammentari, dicono che la scommessa è vinta: quello che poteva sembrare un azzardo politico, capace di spaccare il sindacato e la nascente Cosa rossa, pare rivelarsi per quello che è. Puntata magari rischiosa, ma ragionevole. Il cammino resta in salita, e la salita ripida come poche volte, persino nel corso di una legislatura tormentata come l’attuale.
Ma il segretario ritrova serenità e sorriso. I giornalisti lo attorniano per sapere il succo della vicenda: ovvero se il protocollo sul welfare sarà la mina che fa saltare il banco del governo. A tutti Giordano ripete che il «no» di Prc in Consiglio dei ministri è confermato, se non ci saranno cambiamenti. E che in Parlamento la sinistra proporrà le sue modifiche. Che cosa accadrà poi, non è dato sapere: «Vivo ora per ora», sospira. Quando gli si fa notare che la coperta per Dini e amici potrebbe poi essere troppo corta, Giordano si schermisce: «Sono intrighi di palazzo, non mi interessano».
Con questi dati qualcosa cambia. Ha sentito Prodi?
«No, non l’ho sentito. Risultati alla mano, credo che abbiamo l’obbligo di andare avanti per modificare il protocollo. Prodi farà bene a rendersi conto di quello che è accaduto, è suo interesse farlo. La politica non può girare la testa dall’altra parte e non può che ascoltare questo lamento dei lavoratori».
Pensa che i margini per un’intesa siano più ampi?
«Il voto dei lavoratori dipendenti e in particolare dei metalmeccanici mi pare un fatto socialmente importante e non si può non tenerne conto. Mi pare anche che le condizioni per trovare un accordo ci siano tutte, senza voler fare vinti e vincitori. Lo dico anche alle parti del sindacato che erano più restie alle modifiche: discutiamo per una soluzione».
Perché dovrebbero ascoltarla ora? Il «sì» ha avuto un largo margine.
«Prendo atto della vittoria dei sì. Ma il risultato ha dimostrato un disagio, una sofferenza acuta che si annida nel lavoro dipendente e operaio, da Nord a Sud. I lavoratori vivono la crescita salariale più bassa d’Europa, scarsa tutela nelle condizioni di lavoro, difficoltà a esprimere democrazia nelle fabbriche, forte precarietà e intensità dei carichi di lavoro non più tollerabile. I padroni, diciamo così, non sono teneri. Non sono certo mammolette... ».
Un disagio così forte può far temere l’insorgere di un neobrigatismo rosso?
«Alt. Terrorismo no: il malcontento sociale si esprime appunto in ogni conflitto. Ma guai a metterlo in collegamento con il terrorismo, il cui solo pensiero condanno ovviamente con massima fermezza. Però contesto alla radice un collegamento del genere».
Può semplicemente alimentare l’antipolitica?
«Forse, vista la fase che attraversiamo. Ma questo ci impone di riflettere bene e dare risposte immediate. Bisogna essere grati al sindacato per questa prova di democrazia: la consultazione dei lavoratori andrebbe proposta per legge e resa sempre validante per gli accordi. Un metodo di partecipazione che ha fatto emergere il disincanto e la disaffezione: proprio il terreno sul quale la politica deve recuperare. Ed è anche ciò che si propone di fare un nuovo soggetto unitario a sinistra. Rompere il sistema di autoreferenzialità... ».
Un bel traino per la manifestazione del 20 ottobre.
«Quella sarà l’occasione per incidere sul terreno della politica economica e sociale, dando voce all’anima di questo soggetto unitario. Un soggetto che vuole essere improntato anche alla laicità e ai diritti civili: esigenza oggi ancora più fondante, considerato che le gerarchie ecclesiastiche si fanno sentire su tanti temi, e il Partito democratico è afono. Mostra il vuoto della sua proposta, perché dentro di sé ha tutto e il contrario di tutto».
Con il voto dei metalmeccanici la Cgil è nei guai.
«Bisogna essere grati alla Fiom, che ha straordinariamente interpretato il disagio che c’è nelle fabbriche».
Non è stata ascoltata.
«Quando la Fiom ha fatto sua la critica al protocollo, tutti hanno pensato a un elemento di rottura inedito e pericoloso. Invece era soltanto la rappresentazione di un malessere che era giusto cogliere».
Quindi Prc non ha invaso il campo del sindacato?
«No, ognuno fa il suo mestiere».
La Cgil rischia scissioni?
«No, io credo che stia inscritto nella tradizione della Cgil l’autonomia delle categorie.
Magari l’attuale dirigenza non ha saputo interpretarla adeguatamente?
«Mi perdoni, su questo “no comment”».
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