Giovanni Antonucci
Antigone è insieme all'Edipo re l'espressione più alta del teatro di Sofocle. Lo dimostrano anche la sua fortuna scenica e le rielaborazioni novecentesche, da Brecht a Anouilh. Questa giovane donna, che D'Annunzio definì «Antigone dall'anima di luce, Antigone dagli occhi di viola», è diventata l'immagine dell'eroina, che per difendere i suoi ideali umani e religiosi, rinuncia al suo futuro di moglie e di madre, sacrificando la sua stessa vita. La sua opposizione al divieto di Creonte di seppellire il corpo del fratello Polinice, ormai nemico di Tebe, non è frutto dell'orgoglio, ma dell'amore e della pietà fraterna. Sofocle non ne ha fatto una sorta di eroina prefemminista, come spesso è stata interpretata nel Novecento, ma una giovane donna dalla splendida femminilità. Antigone, in scena al Teatro Della Cometa di Roma e poi in tournée, è diretta da Giuseppe Marini. La sua messinscena è fondata sull'idea che questa tragedia è veglia funebre, morte e distruzione. Antigone è una donna - bambina che non vuole essere moglie e madre ma soltanto sorella. Creonte, poi, rappresenta il potere che vuole purificare a tutti i costi Tebe dai suoi peccati. È una lettura parziale, ma che Marini propone con assoluto rigore.
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