Armati di poesia

La missione impossibile di Elizabeth Samet: formare l’esercito con Omero e Virginia Woolf

In questa stagione, l’accademia militare di West Point - osservata da Osborn Castle, punto panoramico in cima a un’insenatura dell’Hudson - appare quasi completamente immersa in un mare di nebbia. Si notano appena le luci delle lampade al sodio che illuminano ogni recinzione, ogni traliccio, ogni edificio. Dà l’impressione di una raffineria petrolifera, oppure di un esteso complesso industriale. Qui si sono formati Dwight Eisenhower, Norman Schwarzkopf, George Patton, Ulysses S. Grant e altri protagonisti dei maggiori fatti bellici degli ultimi due secoli di storia americana: alcuni sono poi diventati presidenti degli Stati Uniti, quasi per logica prosecuzione di carriera, e non di rado portaerei e incrociatori portano il loro nome. Altri, come Edwin Aldrin, hanno posato il piede sulla luna.
Che cosa studiano i loro successori di oggi a West Point? Strategia militare, com’è ovvio: di terra, di acqua, di aria. A seguire, le esercitazioni propedeutiche alla guerra - armi, lotta corpo a corpo, tecniche di assalto - e gli allenamenti quotidiani per diventare atleti dalle prestazioni competitive, soprattutto nel football. Poi, di nuovo sui libri: giurisprudenza, ingegneria, leadership, poesia.
Poesia? Ma non dovrebbero, usciti da lì, essere spediti a combattere nelle zone calde del mondo? E allora, che cosa c’entra la poesia? Perché questi soldati scelti dovrebbero mandare a memoria Shakespeare?
È appena uscito per Farrar, Straus and Giroux un libro che prova a rispondere a questa domanda: Soldier’s Heart. Reading Literature Through Peace and War at West Point («Il cuore del soldato: leggere letteratura in pace e in guerra a West Point», pagg. 272, euro 18,93) di Elizabeth Samet, la professoressa che a questi cadetti ha insegnato per dieci anni i classici della letteratura, con incursioni nella storia del cinema. È un libro a metà strada fra L’attimo fuggente e Leggere Lolita a Teheran, soltanto molto più sincero, perché non ha nulla di artificioso o consolatorio. Un soldato legge Dickens per averne indietro davvero qualcosa, e in modo molto diretto: della poesia prende la linfa vitale, non i cascami estetici. Paradossalmente, un soldato può desiderare i libri più di un critico letterario.
Appena arrivata a West Point, Elizabeth Samet si è subito posta il problema dell’impianto dei corsi di letteratura, che non potevano essere di tipo strettamente universitario. Che cosa far leggere a quelle giovani reclute in uniforme grigia, quando persino lei alla domanda degli addetti alla sicurezza «qual è la sua funzione qui, signora?» riusciva a malapena a rispondere con imbarazzo «insegno inglese»? Per prima cosa, dunque, occorreva capire quali libri potevano attrarre e stimolare i giovani uomini e le giovani donne sbarcate a West Point pieni di «senso del dovere, onore e patriottismo» (è il motto dell’Accademia). Qualche classico «di guerra» che rafforzasse questi sentimenti? Difficile trovarlo, perché come presto capì la Samet, «una vera storia di guerra non è mai morale. Non indottrina, non incoraggia la virtù, non suggerisce modelli di comportamento». In altre parole, la vera letteratura istiga un sano individualismo.
Apriti cielo. Che cosa c’è di più lontano dalla vita militare, tutta fatta di obbedienza, di qualcuno con un libro in mano che comincia ad affrontare i problemi della sua coscienza? La Samet non gettò la spugna (d’altra parte, è figlia di un militare) e mise in programma Omero, Virginia Woolf, le poesie di Wallace Stevens, i romanzi di Coetzee, di Evelyn Waugh, di Hemingway, di Conrad e di Thoreau (stranamente, il saggio sulla disobbedienza civile), le opere dei poeti della Prima guerra mondiale come Wilfred Owen e Siegfried Sassoon, il primo dei due morto in azione mentre sostituiva il secondo, ferito dal fuoco amico. La lettura dei testi fu condotta dalla Samet in modo che i futuri soldati - già consapevoli di dover partire per il Golfo, essendo nel frattempo accaduto l’11 Settembre - utilizzassero queste opere come uno specchio in cui ritrovare, accettare e superare i propri tormenti, attraverso una disillusione «umanistica» che quasi mai è contemplata nel manifesto di un’accademia militare.
Lo stesso fine venne raggiunto con le proiezioni di alcuni classici del cinema, da quelli con Humphrey Bogart e James Cagney a Braveheart, Salvate il soldato Ryan, Black Hawk Down, Jarhead, fino a pellicole più problematiche come Il cacciatore, La battaglia di Algeri, Apocalypse Now. Ogni volta, seguirono discussioni sul coraggio e l’onore (ma anche se sia giusto o meno eseguire ordini che si sanno sbagliati) che non sarebbero dispiaciute a Tucidide.


Ecco allora che Soldier’s Heart diventa il racconto di come la letteratura può aiutare chi sceglie - con nel cuore una sincera volontà di sacrificio - percorsi esistenziali molto difficili, come la carriera militare, a negoziare le proprie molteplici contraddizioni interiori senza devitalizzarle in un cieco conformismo. Altrimenti, i cadetti di West Point rischierebbero di perdere il valore di quell’individualità per cui combattono.

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