Arrivano gli alieni di Abrams e non sono buoni come E.T.

Prima che i cellulari appiattissero il gusto dell’immagine, con le fotocamere incorporate, ogni famiglia aveva in cantina pile di piccole pizze in Super 8. Si, insomma, quei filmini Kodak fatti in casa, il cui formato permetteva riprese «sporche», cioè non patinate, ma affettuosamente amatoriali e già con valore d’archivio, che poi si mostravano al ritorno dalle vacanze. Adesso quella nostalgia per anni meno digito-compulsivi, tracima con classe da un film che in un certo senso riesuma anche un altro rito di fine estate: andarsi a vedere qualcosa su cui, poi, discutere al rientro. Del resto, tutto quello che tocca J.J. Abrams si trasforma in oro (vedi le serie tv Lost, Alias e il rilancio di Star Trek), per cui non stupisce l’aspettativa creata intorno a Super 8 (dal 9 settembre nelle sale), terzo film di quest’erede di Steven Spielberg.
Di fatto, Super 8, thriller per famiglie che può piacere a cinéfili e non, ricompensa l’attesa per tale omaggio agli anni Ottanta più smaccatamente spielberghiani, con tanto di corredo conseguente: simpatici ragazzini di strada, biciclette, notti magiche, alieni e genitori meno attraenti dei veri mostri e, perciò, molto familiari. Focus, dunque, sui capisaldi del méntore Spielberg, a partire dal più classico E.T., perché qui un manipolo di ragazzini di Lillian, paese dell’Ohio, nell’estate del 1979 percepirà distintamente il «diverso», cioè l’alieno. Tutto inizia con sei amichetti di provincia, che vogliono girare scene interessanti per un filmino sugli zombie, da portare a un festival locale. Naturalmente, la cinepresa è di papà, il Super 8, appunto, e la ferrovia pare il posto più adatto per giocare ai registi. Ma una violenta collisione tra un camion e una locomotiva li vedrà testimoni di quella tragedia e di una visione paranormale: dai rottami, infatti, emerge un’entità inquietante. Un’apparizione non benefica e dolce, come l’E.T. creato da Rambaldi, creatura grinzosa, ma accattivante, da portarsi in bicicletta, o da tenersi in cameretta. Piuttosto, siamo al cospetto di un’allarmante presenza che costringe i militari a intervenire, mentre dalle case spariscono cani, persone e oggetti tecnologi... Come nelle matrioske, a questo punto esce fuori l’esplicito riferimento a Incontri ravvicinati del Terzo Tipo, perché ormai quei pacifici rurali, sconvolti da eventi incomprensibili, hanno capito che forme di vita extraterrestri incombono. Però J.J.Abrams qui vuole imprimere una svolta al contatto tra umani e alieni, come finora descritto dal suo maestro, piuttosto incline a una pietas simpatizzante tra le due forme di vita. Gli alieni moderni di J.J. seguono lo spirito del tempo, invece, e somigliano, nella loro patinata crudezza, ai mostri di District 9: chi altro, se non Monsters, poteva far sparire uomini e cani da un tranquillo paesino? Vedere, per credere a un’orrore elegante tutto contemporaneo, la scena della bacheca, con gli annunci dei quadrupedi scomparsi.
L’allievo, in sostanza, supera il maestro con quel cinismo figurativo, che ha lanciato l’astro di Abrams nel firmamento del disincanto hollywoodiano. «Super 8 è nato dalla commistione di due diverse sceneggiature. Una, che raccontava un gruppo di giovanissimi alle prese con il loro primo film e l’altra incentrata su un viaggio organizzato dal governo Usa, per spostare dalla famosa "Area 51" i segreti d’una base militare, ormai troppo nota (e qui riecheggiano alcune scene di Indiana Jones)», ha spiegato l’autore, sottolineando come i due soggetti, da soli, fossero deboli, ma mescolati siano risultati vincenti.

Ancora nel segno di Spielberg, dunque, con una commistione di generi, dalla sci-fi alle favole per bambini. Passando per Jurassic Park, così terrificante con gli enormi dinosauri a significare il «monstrum» che abita la vita.

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