Laviaria labbiamo in casa. Ci incalza dai teleschermi, dove le immagini di tecnici in camice bianco muniti di inquietanti fialette si alternano alle immagini di poveri pennuti - siano essi nobili cigni o umili galline - moribondi o condannati a morte. Il ministro della Salute Storace - che di salute visibilmente scoppia, nella sua floridezza - assicura che non cè pericolo, che siamo protetti, che possiamo mangiare polli in tutta tranquillità. Senza dubbio le notizie di decessi umani sono remote, dubitative, pressoché leggendarie. A voler ragionare con calma risulta evidente che lingozzarsi di pollo è assai meno rischioso che mettersi in automobile per un week-end. Ma continuiamo serenamente a viaggiare in automobile, e invece il panico causato dallaviaria ha falcidiato le vendite di pollame: una catastrofe economica, a quanto si apprende, con la perdita in Italia di trentamila posti di lavoro.
Personalmente - e credo che molti la pensino come me - sono combattuto tra la preoccupazione e lo scetticismo. Solo un incosciente potrebbe restare insensibile al grido di terrore che da tanti luoghi del pianeta si leva a noi. Le epidemie hanno accompagnato lugubremente la storia delluomo, alcune sorte in apparenza dal nulla, come lAids. Le cronache e i romanzi hanno dedicato loro pagine tra le più cupe e più alte della letteratura mondiale. Lincubo dun morbo devastante e spietato è arrivato a noi dalla profondità dei millenni. Preoccupazione dunque, o più schiettamente paura: e limmane riverbero mediatico che ogni notizia ora assume può solo ingigantirla.
Ma insieme alla paura, lho accennato, un certo scetticismo. Gli allarmi dileguano, spesso e volentieri, con la stessa rapidità dimostrata nel propagarsi. Ci si rammenta a malapena della mucca pazza, eppure labbiamo vista e rivista che barcollava, folgorata dal morbo, e poi si accasciava al suolo. Divieti, moniti, riunioni di Alte Autorità, consumo di bovini in caduta libera. Poi, se non di colpo almeno in breve tempo, il silenzio. La mucca pazza è andata in pensione. Sui tavoli dei ristoranti «fiorentine» a gogò. «Sic transit».
Analoga sorte è toccata alla macchia del Golfo - causata dal petrolio fuoruscito da una nave, se la memoria non minganna - che si profetizzava avrebbe contaminato tutti i mari e oceani: e che aveva per triste emblema un cormorano intriso di graveolente e appiccicoso liquido. Da un giorno allaltro la macchia è sparita, nessuno se nè interessato più. Che dire poi dellantrace? Vi fu un momento in cui pareva che qualsiasi busta recapitata negli Usa ma anche altrove fosse cosparsa dantrace, se uno riceveva una busta che ne era priva significava che contava socialmente zero. Gli untori dellantrace devono a un certo punto essersi stancati, o aver capito che la minaccia impressionava poco. Sta di fatto che lantrace è uscito di scena come la mucca pazza e come la macchia del Golfo. La popolarità dei flagelli è a quanto pare effimera come quella duna qualsiasi Lecciso.
Non oso dare a queste considerazioni una morale, perché la paura ha i suoi inconvenienti, ma li ha anche un cocciuto scetticismo. Ne seppe qualcosa il manzoniano don Ferrante. Il quale - mentre imperversava la peste - le opponeva una dialettica raffinata. «In rerum natura non ci son che due generi di cose: sostanze e accidenti; e se io provo che il contagio non può esser nè luno nè laltro, avrò provato che non esiste, che è una chimera». Così ragionava don Ferrante.
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