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Virus cinese per Apple. Vendite in calo del 13%

Pesano divieti governativi e concorrenza asiatica sempre più tech. E l'Fmi taglia le stime sul Pil di Pechino al 3,5%

(Foto: unsplash.com/einfachlaurenz)
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Più che morsicata, ammaccata. Nei conti e nell'orgoglio, come un nobile decaduto. Abituata a ben altri risultati e a far pesare il suo status inossidabile di marchio di lusso, Apple ha amaramente scoperto che in Cina il vento è cambiato e non soffia più in direzione di Cupertino. Le vendite in calo del 13%, a 20,8 miliardi di dollari nella Great China (la macro-area che comprende Hong Kong and Taiwan) hanno macchiato un quarto trimestre '23 in cui il colosso Usa ha peraltro scansato la replica dei cinque "quarter" consecutivi di fatturato in calo della fine degli anni '90.

Magra consolazione se, con riflesso pavloviano, l'occhio scappa verso Oriente. Lì, dove una volta c'era la gallina dalla uova d'oro che prometteva di gonfiare i bilanci indefinitamente grazie alla crescente capacità di spesa dei cinesi saldata all'attrazione irresistibile verso il melafonino della Z-generation, ora bisogna fare i conti con una realtà poco aurea. Quella della stringata analisi del suo numero uno, Tim Cook: l'ex Impero Celeste è «il mercato degli smartphone più competitivo al mondo». La concorrenza agguerrita aiuta a risalire alle origini degli affanni attuali, ma non spiega del tutto un fenomeno più complesso in cui si intrecciano anche altre ragioni, tipo il divieto di non usare gli iPhone in ufficio imposto dal governo ai dipendenti delle agenzie governative e delle aziende sostenute dallo Stato.

In aggiunta, la sensazione che all'interno della corporation a stelle e strisce si sia infiacchito lo slancio di un tempo verso l'innovazione tecnologica. A essere un passo avanti sono ora gli altri, che già progettano di implementare funzionalità di intelligenza artificiale sui loro dispositivi, e sfidano Apple con prezzi inferiori. Poi, non va dimenticato che in Cina business e politica sono legati indissolubilmente. Il rilascio del Mate 60 Pro di Huawei, con connettività 5G, è stato sfruttato dalla propaganda nazionalistica per esaltare la capacità dell'azienda di resistere alle sanzioni con cui Washington l'aveva tagliata fuori dai chip e dalla tecnologia necessari per l'Internet mobile di prossima generazione. Una grancassa che ha solleticato l'orgoglio cinese, al punto da consentire all'azienda di mettere a segno, fra settembre e dicembre 2023, una crescita senza precedenti della sua quota di mercato.

Ma a erodere altre «fette» della torta al colosso fondato da Steve Jobs ci sono anche altri marchi cinesi, come Xiaomi e Honor, e brand in ascesa come Oppo. Dispositivi di fascia alta, pieghevoli, venduti a poco più di 560 dollari: un tris irresistibile per un consumatore scarsamente indotto a spendere, visti i chiari di luna che hanno indotto l'Fmi a stimare una crescita del Pil cinese di appena il 4,6% quest'anno e del 3,5% entro il 2028. Gli analisti non sembrano granché ottimisti sulle capacità di Apple di invertire la rotta.

Così, all'ombra della Grande Muraglia, della mela morsicata rischia di rimanere solo il torsolo.

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