Banche e imprese, tra vecchie prepotenze e nuove moratorie

Caro Direttore, sono una piccola imprenditrice nel settore vinicolo, opero in questo settore ormai da sei anni, ho creato nel Lazio un parco di circa 1.500 clienti. Fortunatamente in questi anni non ho mai dovuto ricorrere al credito da parte delle banche, se non per un piccolo fido di euro 30.000 garantito da 20.000 euro di titoli. Purtroppo la banca li ha investiti male e quindi in questo momento sono inutilizzabili. In sostanza, rischio di perdere quasi il 50%.
In questi mesi purtroppo ho dovuto sforare continuamente il fido concesso dalla banca, ma ho sempre avvertito l’istituto della situazione, facendo capire che avrei avuto bisogno del loro appoggio. Ebbene, le cose ora stanno cosi: la nuova proprietà, il San Paolo di Torino, ha deciso di non accettare più sconfinamenti sul conto. Pur non essendo io sparita, mi hanno fatto riconsegnare tutte le carte di credito aziendali e personali (e per un’azienda le carte di credito sono un modo di autofinanziamento). In più mi hanno detto che a breve, entro fine mese, mi verranno revocati tutti i fidi e che mi concederanno al massimo un rientro in 18 mesi. Ora, il problema è che in questa situazione la mia azienda, pur se piccola (400.000 euro di fatturato, 3 dipendenti e 5 procacciatori d’affari) è destinata a chiudere, o forse anche al fallimento. Per il semplice motivo che il piano di rientro verrà segnalato dalla banca alla cosiddetta «centrale rischi», e potrò di conseguenza scordarmi di ottenere credito altrove. Non mi sembra giusto che in un periodo in cui l’economia è cosi debole, in cui tutti parlano di aiuti alle imprese (io non ho avuto nessun aiuto), in cui l’economia mondiale è al collasso, le Banche finanziate dai Tremonti Bond aiutino sempre e soltanto le grandi aziende. Le spiego anche il motivo. Se il debito contratto verso la mia banca fosse stato, invece di 30.000 euro, di 3 milioni di euro, la banca non avrebbe agito cosi, anzi. Avrebbe cercato di dare ossigeno ad una azienda che in realtà non è al collasso, perché ho i magazzini pieni di merce, circa 50.000 euro da incassare dai miei clienti, ma non ho liquidità a disposizione.
Io non avrò la disoccupazione dopo il mio fallimento, non avrò nulla. Le scrivo per questo, direttore, per chiederle come mai le banche non aiutano le piccole imprese a superare questo periodo di difficoltà, mentre assistono soltanto le grandi imprese. La mia è una vera disperazione, pensare che anni di sacrifici e di notti a lavorare possano finire così, da un momento all’altro, mi rende una persona infelice. E quello che succede a me, caro Direttore, sta succedendo a tante altre persone.
Spero di poter ricevere un aiuto, un consiglio su come affrontare le cose, lei lo sa benissimo: le banche sono prepotenti e hanno il potere di farti vivere o morire.

Cara Francesca, capisco bene la sua angoscia, e mi dispiace. Purtroppo la crisi sta colpendo soprattutto le piccole imprese come la sua (e di questo si è spesso occupato «il Giornale»). Piccole per dimensioni, ma fondamentali per la nostra economia.

Però, ha letto cosa abbiamo scritto ieri? Il governo ha siglato un accordo con le banche che prevede mutui più leggeri e sospensione temporanea dei debiti per le imprese. Si informi, forse può aiutare anche la sua azienda. E il suo stato d’animo.

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