Cultura e Spettacoli

Il baraccone dell’arte casca a pezzi

A Trento crolla l’installazione pensata per nascondere con sacchi di sabbia il monumento a Dante Alighieri. L’ultimo incidente di una lunga serie: le opere contemporanee spesso sono effimere. Anche se costano care

Il baraccone dell’arte casca a pezzi

Non ha fatto in tempo neppure ad arrivare al giorno della festa. Il monumento allo spreco è goffamente cascato su se stesso bruciandosi 160mila euro, la reputazione di un neo-direttore poco capace, l’esistenza stessa della Fondazione Galleria Civica di Trento. Incerti se metterla sul ridere o scandalizzarci, questi in breve i fatti. L’artista Lara Favaretto, sorretta dal passaparola dei curatori internazionali, progetta un geniale lavoro per la riapertura della stagione espositiva pubblica trentina, prevista per sabato prossimo: occultare il Monumento a Dante con diversi quintali di sacchi di sabbia appoggiati su un’impalcatura. Il perché te lo spiega con parole sue: «Nascondo Dante per ridargli un’identità cancellata». L’ambiziosa Lara sproloquia su lingua e cultura italiana, intanto chiama il suo intervento «Monumentary Moment», rigorosamente in inglese.

In questa settimana di lavori in corso si sono alzate diverse voci di dissenso, espresse peraltro con la consueta civiltà dei trentini, che non ne possano davvero più di essere presi di mira dalle foie sperimentali di giovani sfaccendati.

Già il buon Maurizio Cattelan si burlò di loro presentandosi a ritirare la laurea honoris causa con un finto braccio ingessato tipo Elio e le Storie Tese a Sanremo. L’anno scorso il Trentino Alto Adige ospitò Manifesta, una delle più brutte mostre di tutti i tempi, costata uno sproposito con un ritorno di pubblico e d’immagine avvilente. Tra le tante iniziative collaterali inutili e onerose, l’innalzamento di una statua alla famiglia trentina, opera dell’inglese Gillian Wearing, che subì una marcia di protesta da parte dei gay locali che si sentivano esclusi dal quadretto.

La botta finale l’ha servita il crollo del Monumento, o almeno così hanno chiamato quell’assurda pretesa di stipare pesantissima sabbia senza calcolare il rischio della caduta. Lo sapevano perfettamente vigili urbani e pompieri che rigettano stizziti l’ipotesi demenziale del sabotaggio espressa dall’artista e dal direttore che non sanno più a cosa appigliarsi dopo la pessima figuraccia. Piuttosto c’è da star sollevati che nessuno degli operai in cantiere si sia fatto male.
«L’arte contemporanea, ormai da tempo, non è più interessata alla rappresentazione del reale o alla decorazione. Essa cerca di affrontare temi più complessi. Allora l’arte contemporanea, per essere tale, deve essere, per noi fruitori, un inciampo continuo. Deve disturbarci ininterrottamente. Deve essere tesa al nuovo. Deve avere la capacità di problematicizzare la nostra vita quotidiana. Insomma, deve saper turbarci. Altrimenti non sarebbe arte contemporanea. Ma arte di regime». Sono parole di Danilo Eccher, ex direttore della Galleria Civica di Trento, ora presidente della Fondazione e contemporaneamente direttore della GAM di Torino, a conferma che nell’arte le cariche si possono sommare senza problemi. Secondo le sue illuminanti dichiarazioni l’arte ci deve poter prendere per i fondelli senza freno. Se il cittadino medio non capisce, è semplicemente un cretino o peggio, un reazionario, espressione dell’incultura greve della destra. Peccato che tali pensieri vengano espressi da chi gestisce soldi pubblici, quindi di tutti, non di una sparuta minoranza che si è messa d’accordo per farci credere che la Favaretto sia una brava artista e non un’ostinata sprovveduta.

Parlare di soldi è volgare, ribadisce il direttore della Civica Andrea Viliani, in fondo il Comune ha messo solo 50mila euro, gli altri sono finanziamenti privati. Peccato che con la stessa somma un bravo curatore (non lui) sarebbe capace di metter su un’intera mostra, e che comunque una cifra così alta per un intervento effimero che non lascia nulla ai cittadini sia un’assurda indecenza, ingiustificabile comunque, crisi o non crisi. Il direttore non si controlla più e parla di sabotaggio provocato dal clima ostile nei confronti della ricerca, paragonando il crollo dell'impalcatura alla mutilazione del David. Be’, a questo punto è difficile dar torto al consigliere d’opposizione che giudica la Fondazione un inutile orpello culturale.

«La mia opera acquista ancor più significato», ha dichiarato tra le lacrime l’ineffabile Lara, non nuova a operazioni del genere. Anzi, la poetica del fallimento la intriga più del raggiungimento di un qualche risultato, tanto c’è sempre chi pensa a lei, in termini economici. A Venezia - mentre a un suo collega americano è affondata una casetta in Laguna e a un altro cinese si è sgonfiata una mongolfiera in Arsenale - ha fatto letteralmente impazzire una squadra di operai perché si era messa in testa di costruire una palude. Giorni e giorni di discussioni e imprecazioni, ripensamenti, tutti in attesa che la geniale Favaretto partorisse la soluzione finale. Se andate ora alla Biennale, trovate un pantano schifoso dove si annidano zanzare e moscerini. Sfido chiunque a capire si tratti di un’opera, a due passi dal Padiglione Italia dove sono esposti lavori chiari e precisi per tutti i gusti. Secondo alcuni, solo arte di regime.

Da quando l’arte contemporanea ha avuto la pretesa di dialogare con lo spazio, uscendo dal comodo rifugio delle gallerie e dei musei, i guai si sono moltiplicati all'ennesima potenza. Chiedete a un torinese se sa dov’è e cos’è il PAV, ovvero il Parco d'Arte Vivente. Secondo gli esperti e promotori un pionieristico esempio di Land Art nel tessuto urbano, secondo cittadini di buon senso una discarica a cielo aperto, brutta, poco frequentata eppure protetta dall’amministrazione. Interrogate un pescarese a proposito della scultura dell’archistar giapponese Toyo Ito piovuta al centro di Piazza della Rinascita. Un obbrobrio di 5 metri per 2 che rappresenta un bicchiere di vino imprigionato dentro una struttura di materiale acrilico. Costata oltre un milione di euro, l'opera è stata inaugurata il 14 dicembre 2008. Il 16 febbraio 2009 alcuni cittadini seduti in piazza hanno sentito strani scricchiolii provenienti dal capolavoro. Un cedimento strutturale, l’oggetto è pericolante, quindi imbracato in attesa di restauro. Portarlo via infatti costerebbe tanti soldi, lo stesso distruggerlo.

E qui non c’è neppure la scusa dell’effimero o del temporaneo, è solo una schifezza e basta.

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