Basta un lavoratore su 10 per bloccare il Paese Pesa l’effetto annuncio

RomaL’azione del governo per regolamentare il diritto di sciopero si concentra su un settore di vitale importanza, ma che in Italia è caratterizzato da sprechi, ritardi e inefficienze. Il ddl delega che domani approderà in Consiglio dei ministri interverrà principalmente sul comparto dei trasporti affinché le controversie tra aziende e lavoratori non producano come unico risultato quello di lasciare gli incolpevoli cittadini a piedi.
Nel quadriennio 2004-2007 l’Istat ha individuato ben 289 conflitti fra controparti nei trasporti, la maggior parte dei quali (210) riguardante il settore terrestre che comprende anche i servizi pubblici locali. Secondo la classificazione dell’istituto di statistica a ognuna di queste agitazioni possono corrispondere uno o più scioperi. Non bisogna perciò sorprendersi se nell’ultima relazione del Garante sugli scioperi (la nuova sarà presentata oggi, ndr) nei 18 mesi dal primo gennaio 2005 al 30 giugno 2006 il Garante degli scioperi abbia elencato ben 508 scioperi. Visto il profluvio di sigle sindacali del comparto, non c’è da meravigliarsi che si indica un’agitazione al giorno.
Il problema principale, tuttavia, è rappresentato dal fatto che nei quattro anni considerati i lavoratori coinvolti nelle manifestazioni sono stati al massimo 67mila. Si tratta di meno del 10% dei dipendenti del comparto (circa 700mila, esclusi ovviamente gli autonomi). Ma è ovvio che l’effetto-annuncio in questi casi funge da deterrente. Chi prenoterebbe un biglietto aereo sapendo che vi sono delle agitazioni in corso? Il drastico calo dei passeggeri Alitalia nelle fasi «calde» del passaggio a Cai ne è un esempio. Eppure, dati Istat alla mano, il massimo di scioperanti nel comparto aereo si è avuto nel 2004 (altro annus horribilis per la ex compagnia di bandiera) con 838 persone. Ecco perché il ddl prevede l’istituto del referendum in caso di scarsa rappresentatività di una sigla.
Discorso diverso se si guarda al monte-ore perduto per le agitazioni. Ben 861mila nel 2007, anno per il quale non si dispone delle cifre del comparto aereo. Quasi 110mila giornate lavorative di otto ore andate in fumo soprattutto a causa di vertenze contrattuali. Calcolare l’impatto sul Pil di queste iniziative di protesta è pressoché impossibile. Se ci si limitasse alla sola incidenza sul settore gli effetti potrebbero giudicarsi modesti: tra valore aggiunto disperso e incidenze in busta paga si resterebbe ben al di sotto dei 20 milioni di euro. Ma come si può conteggiare il danno prodotto da merci deperibili non consegnate per uno sciopero dei tir o dalla perdita di ore o giornate lavorative perché un pendolare non si è potuto mettere in moto a tempo debito? Ed è proprio qui che diventa evidente come una sparuta minoranza dei pasdaran dei trasporti sia in grado di mettere in ginocchio un intero Paese.
Il vecchio sistema delle sanzioni, infatti, non poteva rappresentare un deterrente efficace. L’ultima relazione del Garante ricordava che tra il 2005 e la prima metà del 2006 sono state irrogate 18 sanzioni pecuniarie per il mancato rispetto della normativa per un totale di 167.870 euro. Una media di 9.326 euro per violazione accertata. E sempre ammesso che il responsabile paghi. Il coinvolgimento dell’Agenzia delle Entrate previsto dal ddl, se non altro, non lascerà scampo ai «Pancho Villa» e alle «pasionarie» dello sciopero selvaggio.

Analogamente, l’introduzione dello «sciopero virtuale» con la devoluzione di un contributo da parte di aziende e dipendenti a un fondo di scopo potrebbe scoprire un lato positivo per questa forma di protesta. Ammesso che si debba proprio protestare.

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