Politica

Blocchiamo i nemici dell’arte

Li guardi, e ti sembrano interessati, curiosi, convinti. Credi che in essi alberghi il senso dello Stato, la coscienza del bene, la difesa del pubblico interesse. Sono sindaci, non privati speculatori, eppure da anni io mi trovo in conflitto con una parte di loro, e fatico perfino a capire perché. Ne ricordo uno che voleva a tutti i costi buttar giù una scuola dell'Ottocento, in un paese di pochi abitanti, per fare un parcheggio. Gliel'ho impedito, oggi mi ringrazia. È riuscito invece nella scellerata impresa il sindaco di Arezzo, che ha fatto abbattere, almanaccando che fosse pericolante, la bella scuota dell'inizio del secolo scorso, intitolata a Margheritone: nessuna pietà. A Firenze il sindaco Domenici, d'accordo con il Soprintendente, si era innamorato dell'orribile rete per materassi, concepita per l'uscita degli Uffizi da Arata Isozaki. Contro le più belle piazze di Trieste, snaturandole senza ragione, si applica il sindaco Di Piazza, forse per irresistibile richiamo del suo nome. Poi si arriva alla serie impressionante degli ultimi mesi, una febbre distruttiva contro ogni ragionevolezza. Con il sindaco di Torino, che rinuncia volentieri alla vasta area di un edificio romano ritrovato, per poter realizzare nel luogo di quelle pietre un comodo garage. Quale furia lo spinge, non è dato sapere; ma bisogna andare avanti, verso le Olimpiadi, costi quel che costi: quelle pietre le puoi trovare nel fiume. E poi c'è il sindaco di Piacenza che, in un'area intatta, dominata dalla più bella villa settecentesca della città, vuol far passare una bretella di tangenziale: non c'è verso di fargli capire che è un'operazione insensata. La bellezza sembra l'oggetto di un negoziato, per comprimerla, ridurla, soprattutto se non ce n'è bisogno... Ma insuperabile, in questo precipitoso degrado del ruolo, mi sembra essere oggi, Daniele Rapetti, sindaco di Acqui Terme. Eppure l'ho incontrato in diverse occasioni, mi è sembrato ragionevole, innamorato della sua bella città.
Mi chiamano, io accetto di curare, su richiesta dell'Amministrazione, la mostra di un raro e grande artista del Novecento, Aroldo Bonzagni, nella sede storica del Liceo Saracco, un palazzo senza particolari pregi architettonici, costruito alla fine dell'Ottocento. Credo che nessuno pensi di abbattere lo storico, benché modesto edificio, eppure poco lontano di lì si è già perpetrato il delitto, affidando a un architetto vanitoso il progetto dell'entrata della piscina romana, recentemente scoperta: una orribile scatola di vetro, con cemento e acciaio; della sua insensatezza, qualunque cittadino che si rechi in quel luogo appartato, è consapevole, Ma diventa indignato e feroce, quando vede che a pochi metri stanno procedendo ad abbattere il Politeama Garibaldi, con l'autorizzazione del Comune e della Soprintendenza. La semplice e non spregevole architettura risale al momento di maggiore e più coerente sviluppo della città di Acqui, avviata ad assumere il volto di bella città termale che oggi la contraddistingue. Il grande e illuminato sindaco di fine Ottocento, poi Presidente del Consiglio, Giuseppe Saracco, lo stesso del Liceo e della fontana nel centro della città, donò il terreno per la costruzione del Politeama, oggi minacciato, con la prescrizione al Consiglio comunale, riunito in adunata solenne, nell'anno 1894: «Ora e per sempre teatro». Ho indicato questo non trascurabile precetto di certo interesse storico, al di là del pregio storico artistico dell'edificio, al Soprintendente per i Beni architettonici, Francesco Pernice che, con nuovi elementi, insieme al diretto interessamento della Presidenza della Repubblica, investita sul piano morale dall'incredibile vicenda, potrà procedere al vincolo che le intelligenze vive reclamano, ma che non dovrebbe essere necessario a un sindaco rispettoso della propria città, della memoria del suo illustre predecessore e, infine, di se stesso. Impavido, nonostante le mie reprimende, Daniele Rapetti vuol dar prova di insolente impotenza e quasi di soddisfazione, per quella che a chiunque appare una insensatezza. Nessuno scatto d'orgoglio, nessun desiderio di riparare a un errore o una distrazione, nessun tentativo di continuare l'opera e mantenere l'impegno del grande sindaco Saracco. Felici di essere meschini: «Come amministrazione comunale non possiamo procedere alla sospensione dei lavori di abbattimento, attraverso la revoca della concessione edilizia, in quanto tale provvedimento dovrebbe essere adeguatamente motivato e giustificato, non certamente dalla semplice promessa dei professor Sgarbi della futura apposizione da parte del ministero». È assurdo, ma gli piace: Rapetti vuole il parcheggio; non c'è teatro, non c'è memoria che tenga. E finge d'aspettare, ma non spera, l'ordine della Soprintendenza. Da solo preferisce non capire. E non gli basta il mio richiamo. Vuole che io mi vergogni di essere andato a inaugurare la mostra di Aroldo Bonzagni al Liceo Saracco, e che mi candidi alle prossime elezioni amministrative per occupare il suo posto e conservare le memorie storiche, abbattendo le schifezze di cui egli è compiaciuto, come la ridicola porta del sole in cemento armato, per la soddisfazione di uno pseudo scultore e l'irritazione di tutti i cittadini.
Come si possa essere arrivati, rispetto ai valori, a una così straordinaria perversione, è difficile capire. Ma è desolante che chi ha una responsabilità pubblica sia tanto insensibile, e agisca in nome di interessi che non corrispondono a quelli dei cittadini, con una così clamorosa prova di insensibilità. Eppure, tu parli a questi sindaci, li guardi negli occhi, ti sembrano attenti e sensibili. Ma pochi hanno la forte umiltà di quel vivace e curioso sindaco di Varallo, Gianluca Buonanno, che non procede a lavori pubblici, dalla pavimentazione delle strade all'arredo urbano, senza chieder consiglio a chi può aiutarlo a non fare scelte sbagliate. La prima delle quali è non rispettare la memoria e cancellare la storia con sovrana indifferenza. Gli orrori sono davanti agli occhi di tutti: il bel convento ottocentesco dove c'era la mia scuola, a Ferrara, il Liceo Ariosto, è stato abbattuto per farci un tribunale, vagamente post moderno, che stupra irrimediabilmente uno spazio che fu semplice e integro. Ma sono passati quasi trent'anni, e quel tragico errore appare oggi irrimediabile.
Si fermi in tempo chi può.

Si sollevino i cittadini di buona volontà di Acqui.

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