Bolsena, miracoli anche in cucina

Renato Mastronardi

Velzna o Volsinii: così gli etruschi chiamavano la cittadina di Bolsena che, ancora oggi, è il centro più importante che si affaccia sull’omonimo lago. La sua stupenda posizione sulle colline degradanti dai Monti Volsinii ha sempre favorito insediamenti che alcuni fanno risalire addirittura all’età del ferro, quando gli Etruschi già dominavano gran parte della Tuscia. Ma Bolsena divenne ancora più nota quando, in pieno Medio Evo, grazie alla via Cassia, si rivelò uno dei principali nodi cruciali del turismo religioso diretto a Roma. E assurse a maggior fama per il celeberrimo miracolo eucaristico che si verificò nella cattedrale di Santa Cristina nel 1263. La cittadina, dunque, sin dal Medio Evo e per tutto il Quattrocento e il Cinquecento, fu particolarmente frequentata non solo da turbe di penitenti, ma anche da folle di pellegrini e di romèi che inseguivano le indulgenze da raccogliere sulle scalinate delle maggiori basiliche della Roma papale. Quanto alla storia laica e civile, Bolsena nell’VIII secolo soffrì di molte distruzioni barbariche e imboccò il tunnel di un triste abbandono. Poi, nel 1375, sulla torre civica sventolò il vessillo dei Monaldeschi che tennero la rocca fino al 1451 quando tornò definitivamente sotto l’ampia cappa del Papa.
Da vedere. L’attuale abitato si snoda attorno alla piazza Matteotti, con la chiesa di San Francesco, di originale struttura gotica. Il monumento più rappresentativo è la Collegiata di Santa Cristina, formata da più chiese attigue o sovrapposte: la centrale, Santa Cristina, la cappella di San Leonardo e la cappella del Miracolo. In questo ambiente, nel 1263, si verificò il prodigio eucaristico quando un prete boemo vide uscire del sangue dall’ostia consacrata che macchiò il corporale ed alcune pietre del pavimento. Reperti miracolosi che si conservano ancora nella cosiddetta Cappella del Miracolo. La chiesa centrale, risalente all’XI-XII secolo, costruisce un pregevole crocifisso ligneo dell’XI secolo, un polittico del Quattrocento, un busto di Santa Cristina in ceramica robbiesca. Un altro monumento rilevante è il Castello Monaldeschi (sec. XIII-XIV) a pianta quadrata con quattro possenti torri angolari. Su un piano più basso del castello si incontra il Palazzo Del Drago, di stile rinascimentale e con stanze decorate da Pierin del Vaga e Pellegrino Tibaldi. Sulle colline intorno alla cittadina, numerosi scavi hanno riportato alla luce resti etruschi e romani.
Da mangiare e da bere. L’area del lago di Bolsena, oltre a offrire un vino e a un olio di origine controllata, è forte di una ricca tradizione gastronomica tutta da scoprire. Per questi motivi il turismo intelligente ne fa da tempo una tappa privilegiata, scontrandosi però con un modello di accoglienza turistica che è poco definire «rapace» e che appiattisce la qualità dei servizi. Tuttavia, da qualche anno i produttori di olio e vino, i pescatori e, in genere, quasi tutti i ristoratori, stanno tentando di recuperare una cultura enogastronomica che, fino a ieri, sembrava irrimediabilmente compromessa. E in questa ricerca di un’identità culinaria quasi perduta, spicca uno straordinario spirito inquieto che merita la citazione: il signor Bruno Parrino, titolare di «La Pietra» (corso Cavour, 75) che ha fatto cardine irrinunciabile della sua cucina le tipicità tradizionali rurali e lacustri di quest’angolo di Tuscia che, un poco, è già Maremma. Quindi, una volta a tavola, buon pro vi facciano le bruschette al pomodoro e i crostini e, tra i primi, fettuccine, minestra di tinca con tagliolini, linguine al pesce di lago e gnocchi di patate. Per i secondi, basta e avanza la «sbroscia» (zuppa di pesce di lago) che è un autentico capolavoro.

A voler scegliere c’è anche la possibilità di «vagare» tra un coregone alle erbette, un’anguilla alla cacciatora, un filetto di persico ed uno squisito pollo ruspante con le olive. Per finire in gloria: i dolci caserecci e la ricotta con cannella e miele.

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