Roma - «Adesso faccio il pubblico ministero. Contribuisco a mandare in carcere quelli che commettono reati. Come le estorsioni, il gioco d'azzardo, le truffe, il traffico di droga. A volte mi vergogno, per questo». A parlare così, nell'epilogo del romanzo Il passato è una terra straniera, è Giorgio, il protagonista. Figlio della buona borghesia barese, studente modello, sembrava avviato a una placida carriera in magistratura. Ma il sodalizio inatteso con Francesco, baro carismatico ancorché sociopatico con sei stupri sulla coscienza, lo portò a un passo dal perdersi in quel periodo fragile e misterioso che separa la giovinezza dall'età adulta.
Il terzo romanzo di Gianrico Carofiglio diventa un film di Daniele Vicari (pronuncia esatta: Vicàri), scritto dal regista quarantenne insieme al romanziere, al di lui fratello Francesco e a Massimo Gaudioso. Primo ciak a ottobre, in una Bari che non sarà più quella del 1989, fatiscente e oscura, anche perché nel frattempo la città è cambiata. Interpreti principali: Elio Germano, l'attore più quotato del momento, e Michele Riondino, pescato nel mondo del teatro. Avrete capito che il cuore della faccenda riguarda quella che Vicari chiama «la fascinazione del crimine». Dice: «Nello spogliarsi progressivo delle sue amicizie, dei suoi amori, delle consuetudini sociali, Giorgio si spinge fino ad esercitare violenza sulle persone. Scopre l'altra faccia del diritto. Del resto, senza il crimine non esisterebbe la necessità del diritto. Così come l'affermazione del diritto presuppone l'esistenza del crimine».
Progetto tormentato, passato produttivamente di mano in mano, Il passato è una terra straniera sarà il terzo lungometraggio del cineasta, dopo Velocità massima (a Venezia 2002) e L'orizzonte degli eventi. Rivela il regista: «Il film m'è stato proposto. Di solito preferisco lavorare su storie originali, non appoggiarmi a libri di successo, anche se garantiscono ai produttori una forte base di partenza. Ribadisco l'autonomia del cinema. Però Carofiglio mi ha conquistato. Per il lato oscuro della storia, perché combina thriller di genere e romanzo di formazione, perché investiga con sottigliezza nelle crepe della natura umana».
Vero. Unico tra i quattro libri di Carofiglio a non puntare sul mitico avvocato Guerrieri, Il passato è una terra straniera ha subito ritocchi e tagli in vista della versione cinematografica. «Abbiamo eliminato l'io narrante, non sempre funzionale sullo schermo, spesso troppo verboso», spiega Vicari. Che aggiunge: «L'attualizzazione risponde invece all'esigenza di non farne una cosa simbolica. Un film dove si parla di lire è già da considerarsi in costume. Io invece vorrei avvicinarlo allo spettatore di oggi. Peraltro la Bari vecchia di fine anni Ottanta non esiste più. La viuzza nella quale Francesco prova a stuprare Antonia, nel finale, oggi è una specie di salottino: bianco, elegante, non più un luogo fosco, sgarrupato, infestato di impalcature».
Viene da ripensare a Mio cognato di Alessandro Piva, con la coppia Rubini-Lo Cascio... «No, sarà un film diverso, di impianto realistico, senza coloriture dialettali. I ragazzi oggi non parlano più barese stretto. Vedo Bari come una città incompiuta, indecisa tra passato, presente e futuro. Una cornice perfetta». Perfetta per rievocare l'apprendistato malavitoso di Giorgio. Mesmerizzato dalla forte personalità di Francesco, il ventenne molla la fidanzata Giulia, litiga con i genitori, smette di dare esami per immergersi nel giro delle bische, trasformandosi in un gambler professionista in tandem con il baro. Ma i soldi facili chiedono soldi sempre più facili: così dal poker truccato i due passano allo smercio di cocaina, attraverso un viaggio picaresco, con tanto di ammucchiata sessuale, che li condurrà fino a Valencia.
«È stato bello lavorare con Carofiglio. S'è messo in gioco, sin dal primo giorno. Ha detto: “Tagliamo, rivediamo, cambiamo”. Alcuni episodi scompaiono, alcuni personaggi sono ridimensionati. Il cuore del film è il sodalizio, malato ed esaltante, tra Giorgio e Francesco, fino alle inevitabili conclusioni». La vicenda prevede anche un pestaggio, ad opera dei carabinieri. «C'è nel romanzo, lo lasceremo. L'importante è non ideologizzare la situazione. Io amo il cinema di Sorrentino, Marra, Garrone, Crialese, Gaglianone. Registi che sanno trasformare elementi narrativi di genere in invenzioni creative e visive».
Quanto a Germano, scelto con largo anticipo rispetto al David di Donatello, Vicari non ha dubbi: «Non cadrà nella trappola del successo. Fa bene a goderselo, ma non si monterà la testa. Elio è un tipo solido, mi creda».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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