La voce del gol in pensione: "Le mie partite di oggi? A scopa d'assi con gli amici"

L'ex telecronista della Nazionale si racconta: "Vado a parlare nelle scuole, faccio il nonno e giro in bici. Felice di non aver firmato un contratto con la Rai, rischiavo di finire sull''Isola dei famosi'..."

La voce del gol in pensione: "Le mie partite di oggi? A scopa d'assi con gli amici"

È la Settimana enigmistica della televisione italiana, l'uomo che vanta il maggior numero di tentativi di imitazione. Bruno Pizzul, 77 anni, occhi penetranti e parlantina ancora scioltissima e coltissima, è il papà della pattuglia di telecronisti contemporanei che, sempre molto entusiasti e con i tormentoni preparati a tavolino, riempiono pomeriggi e serate sui centinaia di canali, digitali o satellitari che siano. I suoi, di tormentoni, vanno ancora adesso. «Tutto molto bello», «Ha il problema di girarsi», la sequenza sui Baggio «Dino-Roberto-Dino» dell'indimenticabile Mondiale Usa '94. Ecco, Pizzul giura ancora adesso a distanza di anni, che lui non li preparava prima: «Mi venivano così, guardando la partita da osservatore esterno, magari con l'occhio di uno che a calcio ci ha giocato». Solo che lui non ci ha giocato con gli amici della Rai nel dopolavoro, nei tornei contro altri giornalisti, quelli dove si litiga dopo due minuti e finisce sempre a calcioni. Proprio in serie A. Dopo gli esordi nella Cormonese (di Cormons, in Friuli) passa alla Pro Gorizia e a 18 anni è al Catania, in serie A. «Centromediano metodista - enuncia e poi è costretto a chiarire davanti al giovane collega -. Giocavamo con il WM, io ero il perno centrale dietro, marcavo il centravanti. Adesso in tv si esaltano per un tre contro tre, io mi trovavo sempre tre contro uno...». Giocherà dieci stagioni ad alto livello tra Ischia, il ritorno a Catania e la chiusura all'Udinese, dove terrà a battesimo gli esordi di Dino Zoff, altro friulano come lui, «uno degli amici veri nel mondo del calcio - si lascia andare Pizzul - che, forse per una questione di origine, sono quasi tutti goriziani. Fabio Capello, Edy Reja. Gigi Delneri. Ci sentiamo spesso con tutti loro, e - confessa - faccio anche il tifo per le loro squadre, li seguo proprio».

Oggi Pizzul, nella sua quarta vita, continua a fare quello che più gli piace, dispensare pareri sul pallone in televisione e in radio. «Mi chiamano di continuo, dai canali privati e locali. Il lavoro non mi manca, anzi mi sembra di aver iniziato a lavorare proprio da quando sono in pensione. Ma sono contento di non aver firmato un contratto di collaborazione con la Rai, sono più libero e così ho evitato di finire sull' Isola dei famosi ». E da buon friulano schivo e antidivo per natura non ce l'avrebbe proprio fatta: «Non ho mai voluto diventare un personaggio, ho fatto il mio lavoro senza prendermi troppo sul serio anche perché è più difficile fare l'ufficiale degli alpini». Ma non c'è solo il calcio. «Vado a parlare negli oratori e nelle scuole. Faccio il nonno, giro per Milano in bicicletta» visto che non ha la patente e non l'ha mai voluta prendere. Tanto, dal 1969 vive a due passi dalla sede della Rai di corso Sempione e per girare in città, pedala. «A 18 anni, quando tutti hanno la smania ero a Catania e ci proibivano di guidare. Poi sono stato a Ischia dove la macchina non serve a nulla e alla fine sono tornato a Udine, ero vicino a casa e non mi serviva. Poi in Rai ci muovevamo sempre in comitiva. E a casa c'è mia moglie. Un po' per pigrizia, un po' per comodità non ho mai guidato e non saprei nemmeno come si comincia». E poi ci sono le carte, quelle a cui giocava con Zoff ed Enzo Bearzot, altro friulano del mondo del pallone a cui Pizzul era legatissimo. «Siamo un gruppo di amici, ci troviamo sempre nel bar dietro casa per le partite e i tornei a scopa d'assi». La variante milanese dello scopone scientifico: dieci carte in mano, si gioca a coppie e l'asso prende tutto. «Ho imparato qui, è un gioco articolato, di strategia e astuzia, anche se i puristi dello scientifico dicono di no». Ma non solo, anche di discussioni epiche. «E infatti dal locale ci hanno cacciati per litigiosità, hanno proprio smesso di darci le carte. Ma per fortuna ieri un amico mi ha visto passare in bicicletta e mi ha urlato che ce le ridanno».

In gioventù Pizzul non passa direttamente dal campo al microfono. Si laurea in Giurisprudenza e inizia a insegnare alle scuole medie. «Italiano e latino, poi ho ottenuto anche l'abilitazione per insegnare filosofia, ma ho vinto il concorso che mi ha portato in Rai». E lo ha tolto per sempre dalle aule scolastiche. Anche il concorso per la tv di Stato è tutto da raccontare. «C'era questo concorso per programmisti indetto da Radio Trieste. Non partecipò nessuno e quindi mandarono degli inviti a tutti i giovani laureati della Regione. La prova scritta si teneva a Roma e lì mi riconobbe Paolo Valenti». Il giornalista, inventore di 90° Minuto , fissa il giovane goriziano e poi lo chiama per cognome. «Si ricordava di me in un Lazio-Catania. Ovviamente mi aveva notato più per la statura che per la bravura». Valenti lo indirizza al corso di preparazione professionale per radiotelecronisti. «Con me c'erano Paolo Frajese, Bruno Vespa e Angela Buttiglione, non c'era la sicurezza di avere il posto, ma comunque corsi il rischio». Per una professione che, confessa, «quando giocavo mi aveva fatto maturare una sincera antipatia per la categoria». Ma nel '69 il giovane Pizzul viene assunto in Rai e assegnato alla redazione di Milano. «Mia moglie per evitare le mie frequentazioni costanti nelle osterie, in cui stavo cominciando a farmi un certo nome come giocatore di boccette, disse subito di sì».

Gli esordi in Rai sono subito dietro al microfono. «Avrei preferito le radiocronache ma allora la redazione di Tutto il calcio minuto per minuto era compatta e impenetrabile. Finii in tv e pochi mesi dopo ero a Messico '70 come quarta voce delle telecronache». Senza rete. E il calcio non era l'unico amore del giovane giornalista: «Mi piaceva anche il ciclismo. Ma Adriano De Zan era molto geloso. Un'estate mi affidò il Trittico lombardo quand'era in vacanza, ma al suo ritorno non mi ricapitò mai più». Inizia la specializzazione sul calcio: «Le parte più semplice erano le telecronache, poi c'era tutto il lavoro settimanale di cucina in redazione». Alleggerito dal clima nel gruppo di lavoro che, Beppe Viola in testa, era molto poco austero. «Beppe viveva perennemente sul filo del rasoio. Era uno straordinario affabulatore ma andare in giro con lui era molto pericoloso. Un po' per i tempi, mi fece arrivare in ritardo alla mia prima telecronaca ufficiale (che per fortuna era in differita, ndr ) e il suo sarcasmo non era sempre apprezzato dai tifosi locali».

Parlare di Pizzul telecronista vuol dire per forza parlare di Nazionale. E di quella maledetta vittoria che non ha voluto saperne di arrivare nei 20 anni di partite azzurre seguite in postazione. «A furia di sentire che non li ho fatti vincere - confessa - l'ho avvertito come un vulnus. È spiaciuto anche a me». E il pensiero corre ai tre trofei solo sfiorati. «Italia '90 era da vincere, bastava non giocare contro Maradona a Napoli». E poi l'Europeo 2000 con il suo grande amico Zoff in panchina «che ci è scappato non si sa bene come». Così come la finale di Usa '94 persa col rigore di Baggio nel cielo di Pasadena. Vent'anni all'inizio sempre in solitudine, senza seconda voce, il commento tecnico che attualmente sembra indispensabile. «Ma il calcio lo conoscono tutti, l'esperto non serve. La seconda voce servirebbe prima del via, durante l'intervallo e al termine della partita. Come sono tornati a fare in Germania». A lui, fumatore accanito, riconoscibile anche per il rumore dello sfregamento della rotella dell'accendino durante i racconti, la seconda voce serviva «soprattutto per accendermi una sigaretta e farmi una fumata. Anche se dopo una vita ho smesso un mese fa. Di punto in bianco».

Un'ora di chiacchierata è volata. Pizzul è impaziente, c'è l'appuntamento al bar della scopa d'assi che lo aspetta. Si ricomincia a giocare e a discutere. Tutto molto bello, ora il problema di girarsi ce l'hanno gli altri.

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