Mario Cervi - Nicola Porro
In materia di rappresentanza politica, noi italiani, non ci facciamo mancare proprio niente. Sopra le nostre teste abbiamo ben sei livelli diversi di rappresentanza politica, è un triste primato che vantiamo nei confronti di tutte le democrazie occidentali. Il più alto livello è ovviamente quello del federalismo sovrannazionale, il Parlamento europeo. E poi a scendere: le due Camere nazionali, le regioni, le province, i comuni, le circoscrizioni. E fuori dalla conta comunità montane e consorzi e unioni tra comuni di vario tipo. Non abbiamo lesinato su nulla. Stiamo parlando di un esercito di quasi 150mila persone, che si concedono stipendi e indennità che sfiorano il miliardo di euro l’anno.
Ma andando a guardare le singole realtà locali si trovano delle situazioni clamorose, come quella calabrese dove gli emolumenti del personale politico in comuni e province è vicina ai 40 milioni l’anno. Certo il caso calabrese non può essere preso a paradigma di tutta l’Italia, ma si può utilizzare come buona approssimazione. Il rapporto eletti-cittadini è in Calabria ridicolo: ci troviamo in un tempio (o un orrore, come si preferisce) della democrazia, in cui più o meno tutti rappresentano qualcuno. Il «villaggio vip» degli amministratori pubblici calabresi è frequentato dalla bellezza di 8.077 amministratori locali e si tratta di un numero per difetto, poiché nessuno è in grado di stabilire precisamente il numero dei consiglieri delle comunità montane. Ma pur dando per buono questo dato si arriva alla favolosa proporzione di avere in Calabria un politico eletto ogni 230 abitanti per un conto finale di 36 milioni di euro l’anno. A tanto si arriva per pagare le sole retribuzioni, indennità e gettoni vari ai rappresentanti del popolo in 409 comuni, 5 province e nelle comunità montane calabresi. Il costo medio di un amministratore calabrese è di circa 4500 euro l’anno. Questa mappa del costo della democrazia in Calabria risponde veramente alle esigenze dei cittadini? Di 409 comuni, tutti dotati di sindaco, consiglieri, assessori e amenità varie, solo 35 hanno più di 10mila abitanti. Ogni comunità montana in Calabria paga stipendi ai politici per circa 100 mila euro l’anno.
È normale dunque che «alle ultime Amministrative per ottenere uno dei 300 strapuntini disponibili nelle circoscrizioni di Reggio Calabria si siano candidati 3.400 ministatisti.
Questi numeri sono solo la punta dell’iceberg: in effetti intorno agli eletti della politica, fioriscono collaboratori, assistenti, autisti, segretari, consulenti. In un numero ovviamente imprecisato. Insomma i 40 milioni di euro che costa il corpo degli eletti in Calabria, rappresenta solo l’evidenza di una spesa ben maggiore che deve sopportare la collettività per il funzionamento della democrazia calabrese.
Un altro escamotage ben utilizzato da tutti gli enti locali per allargare la propria influenza è quello di creare comitati ed enti in qualche modo controllati. Qualche volta le follie si riescono a fermare per tempo. Complice la Corte dei conti nel 2007 è stata bloccata l’istituzione di un nuovo carrozzone calabrese che si sarebbe dovuto occupare dell’«accertamento delle specie di tartufi» e dell’«idoneità dei raccoglitori di tartufi». Difesi dall’assessore all’agricoltura, Mario Pirillo: «Le due commissioni sui tartufi non esistono, ma dovranno essere istituite, perché ce lo impone la legge nazionale 752 del 1985, che affida alle regioni il compito di disciplinare la raccolta e la commercializzazione dei funghi epigei». La Fincalabria si trova sul groppone 25 partecipazioni in società per azioni che vanno dai salotti agli elicotteri, dalle ceramiche alle barche.
L’attitudine a compiacere il vasto mondo che circonda la politica è bipartisan. In Calabria, alla vigilia del voto amministrativo del 2005, la giunta di centrodestra ha votato una leggina per compiacere un migliaio di dipendenti pensionandoli.
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