Campanilismi Altro che set globale

Ma certo, fa sempre chic ripetere che il cinema è senza frontiere, che non ha confini, che insomma è globale. Però anche stavolta la cerimonia degli Oscar è stato il trionfo del nazionalismo o quantomeno del campanilismo territoriale. Prendete gli iraniani, vincitori con Una separazione del miglior film straniero. Mentre, ricevendo la statuetta, il regista Asghar Farhadi diceva peste e corna del regime di Ahmadinejad («Seppellisce sotto la politica il nostro enorme patrimonio culturale»), i giornali e le agenzie di Teheran celebravano in tempo reale la loro «bandiera del cinema alzata negli Usa» nonostante l’Oscar a un film del genere (racconta la storia di donne iraniane vittime di violenze) sia stato considerato dagli osservatori una sorta di siluro all’integralismo degli ayatollah. In fondo, tutto il mondo del cinema conosce bene quale sia la sorte toccata al regista Jafar Panahi, arrestato a Teheran nel 2010 e condannato a sei anni di reclusione. Ebbene, mentre si facevano queste analisi, un’altra frangia di stampa iraniana osservava compiaciuta che Una separazione aveva battuto Footnote (Nota a piè di pagina) prodotto dai contestati israeliani. E poco importa che, in platea al Kodak Theatre, attori e operatori israeliani abbiano applaudito i loro colleghi iraniani appena premiati. Stranezze della ragion di Stato. Ed euforia dell’orgoglio patrio. Appena saputo della vittoria di The Artist, Sarkozy ha twittato un esultante «onore al cinema francese con cinque Oscar eccezionali». Iperboli confermate anche ieri a Radio Rtl: «È un successo formidabile per il cinema francese e il cinema di qualità». Naturale, Sarkò è sotto elezioni. Chi invece non fa campagna elettorale è la rivelazione Jean Dujardin di The Artist, naturalmente francese, che in barba a qualsiasi globalizzazione ha spiegato a chiare lettere che mai e poi mai diventerà un attore americano. Come se gli attori americani avessero la rogna. In sostanza ha detto: «Venire a Hollywood? Vedremo se ci sarà qualche progetto da sviluppare. Ma non sarò mai un attore americano. Non inventatevi niente». Per carità, anche perché dopotutto chissenefrega.

Insomma, come sempre gli equilibri interni, e le conseguenti convenienze, pesano sulla bilancia dei grandi eventi internazionali, persino di questi Oscar, che sono stati dominati più che altro da una Angelina Jolie belenizzata e da una coppia di superstar come Jennifer Lopez e Cameron Diaz che hanno esibito il loro Lato B neppure fossero alle eliminatorie di Miss Italia di fronte a Fabrizio Frizzi e non al mondo intero.

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