Cannes lascia fuori l’Italia Tornano Tarantino e Moore

«Mio fratello è figlio unico» nella rassegna «Certain regard». Bellocchio in giuria, per Olmi evento speciale

Cannes lascia fuori l’Italia Tornano Tarantino e Moore

da Parigi

Roma lo sussurrava, Parigi lo conferma: nessun film italiano nei ventuno in lotta per la Palma d'oro al prossimo Festival di Cannes, che s'aprirà il 16 maggio con My Blueberry Night («Le mie dolci notti») di Wong Kar Wai (in concorso), per finire il 27 maggio. Lo hanno annunciato ieri a Parigi il presidente del Festival, Gilles Jacob, il direttore artistico, Thierry Frémaux, e il direttore organizzativo, Catherine Demier.
Centochiodi di Ermanno Olmi (vincitore della Palma d'oro nel 1978) ci sarà, ma in quota «omaggi del 60° anniversario» del Festival; Go Go Tales («Storie di ragazze go-go») di Abel Ferrara, produzione italiana con Asia Argento e Riccardo Scamarcio, sarà nei «Film di mezzanotte»; Mio fratello è figlio unico di Daniele Luchetti sarà nel «Certain regard», dove apparirà anche Le rêve de la nuit avant («Il sogno della notte prima») di Valeria Bruni Tedeschi, dove italiana è la nascita della regista. Frammento d'italianità anche in Chacun son cinéma («A ciascuno il suo cinematografo»), collage d'episodi firmati da trentacinque registi, dei quali l'italiano è Nanni Moretti: sarà l'«evento speciale» di domenica 20 maggio. Altra micropresenza italiana nella co-produzione di Une vieille maîtresse («Una vecchia amante») di Catherine Breillat.
Poi ci saranno partecipazioni italiane ad personam: Marco Bellocchio giurato della rassegna principale, presieduta però da un altro regista, Stephen Frears; Jasmine Trinca giurata del «Certain regard», presieduta dalla regista Pascale Ferran, la promotrice della campagna per gli immigrati clandestini (sans papiers); Clotilde Courau, moglie di Emanuele Filiberto di Savoia, sarà giurata della «Caméra d'or», quella delle opere prime; Sergio Castellitto terrà una «lezione d'attore»; e il manifesto del «Certain regard» sarà di Enrico Marini.
Restano a casa altri film italiani. Quali? Parigi tace, Roma no. Parla L'abbuffata di Mimmo Calopresti; Non andare, Johnny di Fabrizio Bentivoglio; Il disco del mondo di Riccardo Milani (ma la produzione nega che il film fosse pronto). Scelta giusta? Occorrerà vederli, ma i nomi dei registi non sono di quelli che s'impongono. Ci sarà comunque sui quotidiani di oggi - come su quelli del 12 aprile 2000, quando già nessun film italiano fu annunciato in concorso al 53° Festival di Cannes - chi parlerà di sciovinismo. Ma la qualità media del cinema italiano è quella che è e poi il Festival di Cannes non ha interesse a urtare un cinema che è stato basilare per la sua riuscita (e viceversa: senza palma d'oro, Fellini e Visconti sarebbero stati noti solo in Italia) e una stampa, l'italiana, che è la più attenta al Festival. Si potrebbe solo opporre che avere in concorso tre film francesi - incluso Le scaphandre et le papillon («Lo scafandro e la farfalla») del pittore americano Julian Schnabel - si rivelerà eccessivo. Ma è eccessivo anche - nessun festival è «innocente» - avere in concorso alla Mostra di Venezia una media di due/tre film italiani, con una produzione nazionale ben più esigua di quella francese...
In più quest'anno la rassegna principale di Cannes s'apre a tredici autori - inclusa l'autrice di storia a fumetti Marjane Satrapi con Persepolis - che mai avevano partecipato, allargando di colpo il «Club Jacob», come viene definito il Festival per come gli stessi autori (Bellocchio, Moretti e Olmi inclusi) hanno dato il tono al Festival per trent'anni.
I veterani in concorso fra un mese saranno, oltre a Wong Kar Wai, i fratelli Coen con No Country For Old Men («Non c'è patria per i vecchi»); Emir Kusturica con Promise Me This («Promettimi questo»); Alexander Sokurov con Alexandra; Quentin Tarantino con Death Proof («Prova di morte»); Gus Van Sant con Paranoid Park («Parco della paranoia»).

Fuori concorso, invece, Michael Moore con Sicko («Malasanità»); Steven Soderbergh con Ocean's Thirteen («I tredici di Ocean»); Michael Winterbottom con A Mighty Heart («Un cuore grande»). Se sono fuori concorso, ci sarà un perché. Quasi mai il perché è che sono troppo belli.

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