Negli ultimi anni stiamo assistendo ad uno spostamento culturale che da eurocentrico sta divenendo globale. Le ragioni sono molteplici, ed anno investito tutti i continenti, in modo diverso e in tempi differenti.
Oggi parlando di globalizzazione, quindi, non trattiamo solo di aspetti commerciali, ma anche in modo molto più ampio, del pensiero e dell'agire dell'uomo. Questa rivoluzione, strisciante e apparentemente incruenta, vede una forma di questo incedere nelle azioni dirette a rendere politically correct qualsiasi cosa.
Dinanzi a determinate parole, eventi o fatti storici, per una forma di «correttezza sociale», si è voluto darle un nome differente, cercando nel contempo un alibi per sanare e creare una sorta di camuffamento etico-morale. Questa esigenza, indotta, ha proliferato in modo virulento creando uno stato di insicurezza, che potremmo definire «scusate ci siamo sbagliati», ed è ancora oggi presente più che mai. La tentazione di discolparsi ha colpito in modo indiscriminato il nostro agire sociale, ingerendosi indifferentemente dalle professioni, alla storia, alla tradizione favolistica, alle materie tecniche e così via. Il tutto con uno scopo preciso: rendere il mondo e l'uomo che lo vive più coeso e non discriminato rispetto a qualsiasi altro uomo che vive magari in un altro continente e che di fatto di questa grande Rivoluzione non né sarà minimamente lambito. Rivoluzione forse dettata dai media, piuttosto che da una politica sociale ed economica globale che non ammette un eschimese senza i suoi infradito piuttosto che un'abitante delle Réunion senza il suo loden.
Guardando con attenzione questa azione così pervasiva ha modificato abitudini quotidiane di per sé sino a pochi anni fa assolutamente insignificanti, o inesistenti. Pensiamo ad esempio come il fumare, il bere in continuazione bottigliette d'acqua in strada, e portando a chiamare persone e professioni in modo differente rispetto al passato: (cieco = non vedente; persona non in grado di camminare = non deambulante) oppure (spazzino = operatore ecologico; bidello = personale ote). La cosa che colpisce è che in taluni casi questa ondata «perbenista» non ha assolutamente invaso determinati settori, se non forse molto marginalmente: ad esempio quella della giustizia e delle sue attività.
Sappiamo che la cultura giuridica, come oggi la troviamo applicata nel mondo, trova le sue radici nel mondo occidentale e si sviluppa con Roma il cui lascito si è tramandato nel corso dei secoli. Curiosamente non appare che tale settore sia stato ritenuto in qualche modo non politicamente corretto. Senza addentrarci in una disamina complessiva del problema, che sarà affrontata in un capitolo di una prossima pubblicazione (ndr), ci soffermeremo brevemente su un termine collegato all'espiazione della pena: la galera. Andare in galera, spedire in galera, essere galeotto, avere la faccia di un galeotto, cibo da galeotto, pane del galeotto (gallette), divisa da galeotto, fuga del galeotto, amore galeotto (amore sbagliato) e così via, sono modi di dire che oggi, come ieri, tutti conoscono o facilmente riconoscono.
Come nasce il termine andare in galera e come si sviluppa è, come vedremo, frutto di una evoluzione economica che nasce nel bacino del Mediterraneo, e che diviene sinonimo di pena afflittiva tout court.
La necessità di far sì che una pena si scontasse in galera, nasceva quindi prioritariamente da una necessità economica cioè di proteggere lo spazio commerciale in cui si agiva: il mare.
Il ceto imprenditoriale al comando delle Repubbliche Marinare, come di tutte le realtà politico-economiche sul Mediterraneo, riconobbe la necessità di avere una collaborazione strumentale nella Giustizia ordinaria. Le prime forme di espiazione dei reati, intese come forme di detenzione, erano rappresentate da spazi chiusi, grandi camerate comuni, ove l'unica eventuale distinzione era data dal censo.
Si trattava di edifici gestiti da privati che venivano pagati per la loro attività dai reclusi o dai loro parenti per le spese di alloggiamento. La nascita della struttura carceraria cellulare (le celle come oggi noi le conosciamo) è di epoca successiva.
La necessità di imbarcare uomini sulla nave tipo, la galera, utilizzata per la sua conformazione nel Mediterraneo, spinse a modificare e a trasformare il detenuto in galeotto.
I volontari, che le Repubbliche Marinare, inizialmente annoveravano quali componenti esclusivi delle loro ciurme, cominciano a scomparire. Scomparsa dovuta al raggiungimento di un benessere economico che non costringe più popolazioni a svolgere quella professione (popolazioni Dalmate), e ad un aumento dei rischi eccessivi rispetto al guadagno sperato (aumento della guerra da corsa).
L'imbarcazione galera, creò in tal modo, un commercio di uomini a livello europeo, che coinvolse il continente dai primi del secolo XV sino alla fine del XVIII.
Nacque una rete di interscambio tra le varie potenze che, in tal modo, alleggerivano le proprie galere sulla terraferma (prigioni), per imbarcare sulle galere (navi) una massa di persone indesiderate. Con il trascorrere del tempo, la sempre maggiore necessità di rematori, fece diminuire la soglia penale del delitto escludendo di fatto coloro che non potevano essere utili a tale attività: vecchi e donne. Anche i nobili, come gli ecclesiastici, potevano incorrere in tale condanna anche se nella Terraferma (territorio sotto il controllo della Repubblica di Venezia ndr) del XVI secolo, tale condanna era considerata da un Provveditore tipica del popolo. Si trattava di una condanna che il più delle volte era senza ritorno; condanna maleaccetta da tutti e resa talmente odiosa da provocare tentativi di fuga e ribellioni di uomini che, legati a delle catene, avevano praticamente nessuna possibilità di fuga. Ciononostante vi sono stati casi di galeotti che tentarono la fuga e vi riuscirono, come di altri che, espiarono la pena sino a oltre 30 anni al remo. Forse proprio per le condizioni igieniche, gli abusi perpretati ai danni di queste persone, hanno reso il termine galera odioso e nel contempo sinonimo di luogo malsano e non adatto al recupero del reo.
Un piccolo contributo circa la gestione della Giustizia nella Repubblica di Genova è stato da me rinvenuto presso la Biblioteca Berio di Genova. In un documento sono di seguito annotati due provvedimenti. Il primo di essi è titolato «Dell'autorità Criminale de' Signori Protettori di San Giorgio», datato 27 luglio 1581. Con esso si rivendicava l'autorità dei Protettori delle Compere di San Giorgio in materia criminale; potere che discendeva da una consuetudine e permetteva di poter agire in Città, come al di fuori di essa, dando la possibilità di far prendere e processare il più celermente possibile tutti i «sudditi et ufficiali et stipendiati di dette Compere». Questo potere si esplicava sino ad un grado di intromissione e ingerenza nella Giustizia ordinaria, con un intervento diretto, volto a far condannare per una seconda volta colui che per San Giorgio non era stato punito sufficientemente.
La severità di voler comunque punire chi arrecava danno alle Compere e, quindi all'economia della Città, lo ritroviamo in prosieguo, con il titolo di «Giunta fatta allo Statuto Criminale de Furibus» datato 28 agosto 1634. Si ribadisce l'importanza della zona dei «Magazeni del Portofranco e delle Dogane» universalmente considerate sacrosante. Nonostante ciò la merce non è al sicuro, provocando un danno non solo alla Cala di san Giorgio, ma all'intera comunità. Sebbene lo Statuto Criminale de Furibus punisca con la forca il furto che eccede lire cento, lo stesso Statuto prevede la forca, richiamando lo Statuto De Intrante domun alienam, chi commette un furto che eccede lire dieci, o se viene rotta porta, muro o finestra di cala, bottega o magazzino. In caso di furti per somme inferiori, erano previste pene alternative come: pene pecuniarie, di frusta, di menomazione (ad esempio dell'orecchio sinistro), di segnatura con marchio con un ferro rovente, di «troncatione delle narici graduatamente». Se il furto è commesso «nel Porto, ò a Banchi, ò né Sacri Tempij» si prevedono pene maggiori quali staffilate, tratti di corda, bando dallo Stato o dalla Città o dalla Dogana. Anche qui subentra la condanna alla galera con pena sino a dieci anni. La pena veniva inflitta dal Magistrato dei Protettori a sua discrezione, tenendo in considerazione l'età, qualità e condizione della persona.
Certo Genova, come Venezia, le ultime due Repubbliche Marinare, hanno dovuto affrontare l'emergenza della flotta e del suo equipaggiamento, come tale necessità la affrontarono La Spagna, la Francia o il Regno Pontificio.
Recentemente la Gran Bretagna, nel 2006, ha dovuto allestire una prigione, per motivi di carenza di strutture carcerarie, su una portaerei in disuso. E quindi non cè neppure troppo da stupirsi del dibattito che si è scatenato proprio in questi mesi a Genova sullipotesi di costruire un carcere galleggiante. Tante polemiche, eppure forse è solo un ritorno al passato o una sua rivisitazione, ma comunque, ci riporta indietro nel tempo quando andare in galera, di certo, equivaleva ad una condanna pesante e quasi sempre definitiva.
Il termine galera, come altri termini legati alla Giustizia o alla sua applicazione, sono tutt'ora vivi e non sono stati in alcun modo «corretti».
*consulente storico
del Centro Ricerca Criminalistica
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