La cattura dopo il cambio nei servizi segreti serbi

La leggerezza fatale a Radovan Karadzic è stata, si dice, una telefonata ai familiari intercettata dalle cimici della Bia, l’agenzia d’intelligence di Belgrado il 29 giugno. Ma quella telefonata da sola non bastava ad incastrare il fantasma dei Balcani. Soltanto il mutato scenario politico e il cambio della guardia alla testa della stessa Bia ha impedito che la preziosa intercettazione finisse nell’archivio che per 13 anni ha sepolto i segreti sulla latitanza di Karadzic e Ratko Mladic. La grande svolta inizia a fine giugno quando il presidente Boris Tadic riesce a dar vita ad una coalizione di governo tra il Partito democratico e i socialisti del defunto Slobodan Milosevic guidata dall’ex ministro delle Finanze Mirko Cetkovic. A quel punto Tadic può avviare una politica d’avvicinamento all’Europa: rilancia la caccia ai latitanti del vecchio regime e avvia la riforma della polizia segreta.
Il primo passo è la sostituzione del vecchio capo Rade Bulatovic con Sasha Vukadinovic.

Grazie al nuovo corso imposto da Vukadinovic quell’intercettazione diventa la prima traccia sulla pista che porta a Karadzic. E ora anche l’arresto di Mladic, il capo di stato maggiore serbobosniaco responsabile della strage di Srebenica, potrebbe essere a portata di mano.

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