Che tripletta, l’orgoglio azzurro è femmina

Ci volevano le Olimpiadi per ri­dare fiducia a noi stessi, italia­nucci bistrattati dallo spread, dal debito pubblico e dalle tasse. Ieri, per un giorno, ci siamo sentiti superio­ri a tutti

Ci volevano le Olimpiadi per ri­dare fiducia a noi stessi, italia­nucci bistrattati dallo spread, dal debito pubblico e dalle tasse. Ieri, per un giorno, ci siamo sentiti superio­ri a tutti. Il nostro orgoglio - scusate la ridondanza - è femmina. Le ragazze di bandiera tricolore sono in vetta alla scherma mondiale: hanno conquista­to tre medaglie su tre nel fioretto. Un trionfo senza precedenti. Un miracolo della scuola jesina. Oro, argento e bronzo: tutta roba di casa nostra. Qualcuno ci sperava, ma nessuno ci credeva. Invece la re­altà della prima giornata londinese a cinque cerchi è questa: dominio as­soluto in pedana, in uno sport mici­diale che richiede doti mentali, di tempera­mento, atletiche. Uno sport maschile per definizione nel quale, tuttavia, le donne italiane eccellono da sempre. Valentina Vezzali si era aggiudicata tre Olimpiadi di seguito. Avrebbe vinto la quarta, se il suo fisico di trentottenne aves­se retto fino in fondo, eguagliando l’im­presa storica del più grande schermidore di ogni tempo: Edoardo Mangiarotti, mor­to di recente ultranovantenne. Che atle­ta, che uomo, che carattere: fioretto e spa­da, due armi maneggiate con classe subli­me. La Vezzali comunque, nonostante l’età,nonostante la sfortuna,ha dimostra­to ancora una volta di essere una dea. Non è entrata in finale per un soffio, ma quando si è trattato di battersi per la terza medaglia ha tirato fuori l’anima: sotto di tre punti, ha rimontato in una manciata di secondi e ha piazzato poi la stoccata vin­cente nel cuore generoso dell’avversaria. Valentina ci ha commossi con la sua grinta inossidabile, con la sua tecnica, con la sua capacità rabbiosa di spremere i muscoli sfidando il dolore della fatica. La scherma, e non parlo per sentito dire, è una disciplina che a un certo livello logo­ra i nervi, stressa, affatica, uccide dentro: vedere le nostre tre signore lottare, come hanno fatto ieri, esalta e sconvolge. Sul gradino più alto del podio è salita Elisa Di Francisca, ovviamente jesina. Giuro, sa­pevo che avrebbe vinto dopo aver ascolta­to una sua intervista: spavalda, giocherel­lona, serena, aveva lasciato intuire di esse­re pronta per il medaglione. Lo ha ottenu­to con merito. Fredda come un ghiaccio­lo, lucida e spietata: il decisivo assalto con­tro Arianna Errigo è stato un capolavoro di tattica e di intelligenza schermistica. Il suo ferro sembrava ispirato da una divini­tà. L’abbiamo ammirata,Elisa,e ora lalo­diamo con tutto l’entusiasmo che ha su­scitato in noi la sua prodezza. Confesso di aver fatto il tifo per la Vezza­li, perché mi piace, perché lei è una madri­na delle nostre campionesse, perché era giusto chiudesse la carriera luminosa col metallo più prezioso appeso al collo. Non importa. La sua performance è stata co­munque degna dell’abbraccio di sessan­ta milioni di italiani, che identificano in lei il capitano indomito di una squadra meravigliosa.La squadra dei miracoli.

Al­la quale si aggiunge quella degli atleti del­l’arco, che pure ha conquistato l’oro supe­rando gli Stati Uniti. Vabbé, dopo tante amarezze, in tutti i cuori, lo sport ci ha re­galato un po’ di gioia. Almeno oggi, con­sentitemi di esultare.

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