Ma che vergogna i reduci militari dimenticati dallo Stato

Caro dott. Granzotto, ho 89 anni e sono un reduce dei lager assieme a mio fratello. Tornammo con una tradotta di carri merci senza copertura (luglio ’45) e portammo con noi i «recidivi» prigionieri del ’15-18. Scendemmo a Pescantina (Vr) e non trovammo nulla che ci rendesse l’onore delle armi. Poco dopo il nostro ritorno, il distretto militare ci convocò perché ci discolpassimo della prigionia. Io avevo provato due volte a fuggire: la prima volta vestendomi da «signorina». La seconda volta, vestito in borghese, con un collega, mescolati con i lavoratori della stazione di Firenze-Rifreri. Ma il colonnello ci richiamò, timoroso che i tedeschi si accorgessero dell’assenza di due prigionieri. Noi obbedimmo. L’Università degli Studi di Padova, cui ero iscritto, mi fece pagare le tasse per i due anni di «villeggiatura».

Nessuna autorità nazionale ha mai organizzato una cerimonia per gli ex imi. Un governo ha stabilito di dare una medaglia «ad personam». Io aspetto da sei mesi questa medaglia, che sarà, ne sono certo, posta sopra il mio ultimo abito: quello di legno.

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