Chernobyl, fu una vera catastrofe? I dati dell'Aiea smentiscono la vulgata

Venticinque anni dopo la paura nucleare i dati dell'agenzia internazionale per l'energia atomica smentiscono l'idea che sia stata una catastrofe

Chernobyl, fu una vera catastrofe? 
I dati dell'Aiea smentiscono la vulgata

Chernobyl, la prima grande paura. In quei giorni si ruppe qualcosa nella testa dei più piccoli, si insinuò l'idea che il mondo - alla fine -, poteva anche essere cattivo. Sono un ragazzo degli anni Ottanta. E' una premessa necessaria, la catastrofe del 1986 è un evento che ha segnato chi oggi ha trent'anni: l'unica tragedia condivisa della nostra generazione prima dell'11 settembre. Ricordo l'apprensione di mia madre e la sua impotenza di fronte a un pericolo da cui non poteva difendermi in nessun modo. Solo mia nonna, sostituendo la vita vissuta alla conoscenza scientifica, stemperava... Ma lei non andava nei rifugi nemmeno quando piovevano le bombe americane, figurarsi se qualcuno le dava retta.

Noi figli del benessere e del riflusso, figli delle merendine e della televisione, abbiamo vissuto il terrore nucleare negli occhi dei nostri genitori: il timore che il sole fosse oscurato dalla nube tossica, l'incubo che la carne e i generi alimentari fossero contagiati. I telegiornali ci spaventavano, genitori e maestre cercavano di metterci in guardia. Chernobyl era il mostro dei cartoni animati, il cattivo delle favole, una catastrofe senza senso che mandava in corto circuito la percezione: tra Bim Bum Bam, Lady Oscar e il Drive in passavano le immagini della disperazione e tutto si mischiava dando vita a un confuso disaster movie. E poi? Poi la catastrofe è scivolata lentamente nel dimenticatoio, come in un esercizio di rimozione del lutto. Il nucleare è diventato un tabù. Abbiamo voluto dimenticare che in Francia a pochi passi da noi ci sono decine di centrali nucleari e che buona parte della nostra energia arriva proprio da lì. La mattina ci asciughiamo i capelli con l'energia prodotta con la fissione qualche chilometro dopo Ventimiglia, ma non vogliamo dirlo a noi stessi. Non c'è scienza che tenga di fronte alla paura.

Oggi, a venticinque anni di distanza dal quel 26 aprile che terrorizzò il mondo e a meno di un mese dall'incidente di Fukushima, si torna a parlare di "tragedia nucleare", un epiteto fisso, come se le due parole siano inscindibili. Chernobyl è una ferita nella memoria e nella coscienza di chi ha vissuto quegli anni. Da allora la parola nucleare è solo e unicamente sinonimo di catastrofe, una lettura emozionale che riduce al minimo lo spazio per il dibattito scientifico. Un fiume carsico di paure, ricordi e timori che salta fuori ogni tanto, non appena in qualche parte del mondo si riapre il problema.

Ma la verità sui numeri della catastrofe di Chernobyl è un'altra. Secondo l'Aiea, l'agenzia internazionale per l'energia atomica, le vittime dirette della catastrofe furono 58 e i morti negli anni successivi sarebbero stati non più di 4mila. Sono dati ufficiali, al di là della psicosi collettiva. Una tragedia enorme, ma ingigantita nella memoria di chi ha vissuto quel periodo drammatico. Solo per avere un termine i paragone: il disastro del Vajont ha causato 2000 vittime e la rottura della diga di Banqiao in Cina più di centomila. Quest'ultima era una diga creata per sfruttare energia elettrica, quell'energia rinnovabile che viene spesso sbandierata come sicura rispetto al nucleare.

Oggi Chernobyl non è più una cittadina dell'Ucraina settentrionale a cento chilometri da Kiev, è solo un sinonimo di paura, una rappresentazione visiva ed emotiva del terrore e - purtroppo -, anche una clava con cui colpire chiunque cerchi di parlare di energia nucleare. Trent’anni dopo Chernobyl fa paura, ma i numeri raccontano un’altra verità.

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