Nel Dizionario del diavolo (1906), Ambrose Bierce definiva lesiliato «un signore che serve il proprio paese allestero, senza lincarico di ambasciatore». Non è del tutto esatto, perché un ambasciatore finisce col diventare anche un po uno specialista di esilî. E certo lo è Boris Biancheri, che nelle duecento fitte pagine del suo romanzo fin qui più ambizioso, Il quinto esilio (Feltrinelli, pagg. 203, euro 15), condensa cinque secoli di peregrinazioni della famiglia von Grabhau, dalla Pomerania fino a un carcere americano di alta sicurezza, attraverso la battaglia di Poltava (1709), la Russia in fermento della guerra civile e lItalia mussoliniana.
Troppa materia in così poco spazio? Ma grazie al dono di sintesi già emerso in Lambra del Baltico (1994) basato su di una corrispondenza immaginaria con lo zio Giuseppe Tomasi di Lampedusa, e Il ritorno a Stomersee (2002), Biancheri riesce a comprimere in poche righe il molto che ha da raccontare, laddove ad altri non bastano pagine e pagine. Il romanzo storico o pseudostorico conosce oggi nuova linfa, ma tutto sta a dosarne bene gli ingredienti per non trasformarlo in enciclopedia portatile o «rivista illustrata dei wagon-lits» (Nabokov). Biancheri ci offre ogni volta solo qualche frammento, abilmente rielaborato, di un impareggiabile percorso esistenziale che, di padre ligure e madre russa, lo ha portato a rappresentare splendidamente lItalia dallEuropa al Giappone agli Stati Uniti, restando dopo di allora sempre al centro degli eventi: è oggi presidente dellAnsa, della Fieg, dellIspi ed editorialista di politica estera de La Stampa.
La vicenda muove dalla partenza nel Cinquecento del giovane Konrad Grabhau (il von nobiliare arriverà poi), cadetto di una famiglia di signorotti della Pomerania, per cristianizzare lalta Livonia (una cartina geografica avrebbe forse aiutato lodierno lettore, più a suo agio coi tours di FrancoRosso che con gli ordini teutonici). Vi costruisce il castello di Marienschloss, dedicato non alla Vergine ma ad una prostituta svedese dello stesso nome di cui Konrad sinnamora, strappandola alle soldatesche. Il castello diventerà lincerta dimora di una stirpe che si trasmette il morbo dellesilio attraverso le generazioni, «come una malattia ereditaria».
Allinizio del Settecento, la vittoria di Pietro il Grande su Cristiano XII di Svezia porterà alla conquista russa del Baltico orientale. Difensori del vecchio ordine e nemici della santa religione ortodossa, i von Grabhau vengono costretti a lasciare terre e castello per trasferirsi nella cittadina di Vologdà, a duecento verste (vi lascio il piacere di calcolare i chilometri) da Mosca. Non siamo ancora al gulag, ma la vita è dura. E qui la giovane e inquieta baronessina Marie-Dagmar, come si diceva un tempo, dirazza. Passa dai raffinati amplessi del precettore francese a quelli più rudi (e meno profumati) di un mercante russo che poi sposerà, mentre i genitori otterranno dalla clemenza dello zar di rientrare in patria, ritrovando il castello malconcio ma ancora in piedi.
Saltiamo altri due secoli e arriviamo al fatidico 1917. Eduard von Grabhau, cadetto inquadrato come tanti nobili baltici nelle armate zariste, combatte contro gli ex connazionali tedeschi. Con le due rivoluzioni di febbraio e di ottobre, la mischia si complica e scoppia la guerra civile. Bianchi, rossi, indipendentisti ucraini, sbandati romeni si affrontano allultimo sangue tra il Don e la Crimea. Eduard riesce a fuggire avventurosamente in Turchia e da lì in Italia, grazie al tenue contatto di una parente che ha sposato un nobile romano. Lesule di Marienschloss simpiega in una libreria circolante di Piazza di Spagna e attraverserà tutta lepopea fascista senza quasi accorgersene, come un piccolo pianista sul grande oceano della storia. Si sposa, ha una figlia, rimane vedovo, si decide a partire per gli Stati Uniti dopo il 1945 al seguito di un altro lontano parente ufficiale delle truppe americane. Lì si ricrea un«ultima patria», lavorando in unimpresa di costruzioni del New Jersey. I Grabhau hanno finalmente trovato pace? Neanche per sogno, perché se Eduard accetta la sorte, a ribellarsi è la figlia Sophie, che verrà coinvolta nella battaglia per i diritti civili. Dopo uno scontro a fuoco con la polizia, verrà arrestata e condannata a ventotto anni di carcere.
Biancheri guida il gioco con consumata perizia avvalendosi di un ampio pedigree letterario, in cui intravediamo Conrad e la Blixen, la Yourcenar di Alexis e, naturalmente, lo zio Gattopardo. Talvolta la perizia sembra sconfinare nel virtuosismo.
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