Classi multiculturali? Le mamme italiane dicono no

Virginia Polizzi

Una scuola multiculturale, è questa la sfida del Comune per l’anno 2006-2007 e dal giorno d’inaugurazione non si è fatto altro che parlare dei bambini stranieri nelle classi capitoline. Si è parlato di integrazione e di apertura, ma in pochi si sono chiesti cosa ne pensano i bambini italiani e i loro genitori. «Ho dovuto cambiare sezione a mio figlio Daniele, 9 anni, perché quella in cui l’avevano messo era piena di stranieri», dice il padre Andrea. «Non è razzismo - tiene a precisare -. È solo che gli insegnanti non ce la fanno a portare avanti ragazzi con problematiche diverse e va a finire che i miei figli vengono seguiti di meno e il loro studio va a rilento». Sono gli stessi maestri ad ammettere che gli alunni stranieri danno qualche pensiero in più. A partire dalla lingua. «L’anno scorso avevo tre bambini filippini e una della Moldavia nella mia prima elementare - dice una maestra della scuola Bartolomei di via Asmara -. L’italiano a loro gliel’ho insegnato io». E una collega della scuola elementare Regina Elena in via Puglia aggiunge: «All’inizio c’è proprio un problema di comprensione e tenerli al passo con gli altri non è facile». Fanno presto quindi ministri e assessori a riempirsi la bocca di buoni propositi e di un ripetitivo «volemose bene»; altro discorso è la realtà, quella di tutti i giorni che maestri e alunni vivono in 20 metri quadrati. Sempre se riesci a entrarci: «Ho provato per due anni a iscrivere mio figlio all’asilo pubblico dell’Olgiata - si lamenta la signora Perla - E non ci sono riuscita perché gli stranieri, per questioni di reddito, sono sempre riusciti ad avere la precedenza». Ora il figlio di Perla ha 5 anni e frequenta un asilo privato: «A 60 euro al mese, poi dicono che diventi razzista... ». Comunque, tornando alla classe multietnica, gli insegnanti parlano anche di altre difficoltà come quelle razziali e quelli sociali: dovute al fatto che spesso questi bambini hanno alle spalle una famiglia «difficile». E inaspettatamente, si penserebbe infatti il contrario, più si va avanti con l’età, e quindi con le classi, più la situazione si complica. «Perché un conto è imparare a parlare l’italiano, un conto è confrontarsi con la scrittura - sottolinea la maestra del Bartolomei -. Noi insegnanti cerchiamo di valutarli con comprensione». Eppure con tutta la comprensione il divario tra i promossi stranieri e quelli italiani è sempre alto: «10 per cento per la primaria, 47,1 per la secondaria di primo grado e ben 75 per cento per la secondaria di secondo grado», legge dal suo rapporto la dottoressa Maria Rosaria Mallo del provveditorato agli studi. «Pensi a un bambino cinese che, con il suo background, si deve confrontare con l’analisi critica di una poesia di Pirandello. Avrà sicuramente molte più difficoltà di un coetaneo italiano». Per questo che il Comune ha pensato bene di darsi una nuova missione per il futuro: cambiare il programma di studi della nostra scuola.

«Dovremmo cercare di farne uno in chiave interculturale», spiega la Mallo. Chissà che la prossima mossa del Comune non sia allora quella di distribuire, questa volta agli studenti italiani, la traduzione della Costituzione filippina o peruviana?

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