Il cluster marittimo vale 39 miliardi

Il cluster marittimo vale 39 miliardi

«Il mare è una grandissima risorsa per l’Italia. Manca solo la cultura del mare...». Parola di Paolo D’Amico, presidente della Federazione del Mare. Che aggiunge: «Il sistema marittimo, pur colpito della crisi, ha resistito meglio di altri e nel 2011, in alcuni comparti come lo shipping, si potrebbe tornare a livelli del 2008».
Numerosi gli ospiti nella sede romana del Cnel, trai i quali il presidente Antonio Marzano, il senatore Luigi Grillo, il governatore campano Stefano Caldoro, Tiziano Treu, il ministro Maurizio Sacconi e Paolo D’amico, presidente della Federazione del mare.
Secondo il IV Rapporto dell’Economia del Mare, realizzato dalla Federazione del Mare e dal Censis e presentato martedì scorso a Roma nella sede del Cnel, il sistema marittimo italiano si conferma uno dei settori più dinamici dell’economia nazionale contribuendo al Pil per 39,5 miliardi di euro (2,6% di quello totale e l’11% di quello dei trasporti) e occupando circa il 2% della forza lavoro del Paese (477mila unità compreso l’indotto). La stima del valore del cluster marittimo nel 2010 si colloca tra i 38 e 39,7 miliardi di euro, mentre, per il 2011 si prevede «una crescita contenuta, per poi riprendere a svilupparsi nuovamente nel 2012».
L’Italia, quindi, conferma la sua leadership europea per importazioni via mare (185,4 milioni di tonnellate di merce), e mantiene il terzo posto nelle esportazioni (47 milioni di tonnellate). Primato europeo anche nel traffico crocieristico (6,7 milioni di passeggeri) e nella costruzione di navi passeggeri e motor-yacht di lusso. In termini di contributo al Pil, dopo i trasporti marittimi si collocano le attività di logistica portuale e ausiliarie ai trasporti (6,7 miliardi di euro di contributo), la pesca (4,4 miliardi), la cantieristica navale (4,3 miliardi) e la nautica da diporto (3,3 miliardi).
Ancora una volta «l’economia del mare è un motore importante per tirarci fuori dalla crisi», osserva Giuseppe Roma, direttore generale del Censis.
Un focus particolare è stato dedicato alla nautica da diporto. Secondo il rapporto, l’Italia detiene uno dei più importanti parchi nautici del mondo, con circa 618mila imbarcazioni. Si tratta del quarto Paese europeo per numero di unità, preceduto soltanto dai tre Stati della penisola scandinava.
Dall’analisi del dati riferiti al 2009 risulta che per ogni euro investito nella produzione di imbarcazioni, considerato l’indotto turistico, si generano circa 4,5 euro di risorse economiche a valle. Per quanto riguarda l’impatto sui livelli occupazionali, invece, ogni addetto diretto può generare circa 6,5 altri posti di lavoro nell’indotto turistico.
È evidente che i «rapporti» periodici sono datati. Infatti, il IV Rapporto sull’Economia del Mare, analizza i numeri relativi al 2009. Le stime sul 2010 non sono eccellenti, mentre quelle sul 2011 sono lievemente in rialzo. «Secondo alcuni indicatori - dicono gli esperti - il 2012 dovrebbe essere l’anno della ripresa». Insomma, per ora non sono rose e fiori.
Tutti i relatori, tuttavia, hanno sottolineato all’unanimità l’importanza di puntare e investire sul turismo nautico, su una portualità di livello che consenta non solo il rilancio del comparto, ma anche uno sviluppo più veloce. È necessario, infatti, che alcune regioni investano risorse per avvicinarsi ai livelli liguri e francesi, ad esempio.


«Oggi - è la conclusione di Paolo D’Amico - in virtù di nuovi scenari di mercato chiediamo una rinnovata sensibilità a tutte le istituzioni, in modo da procedere speditamente su alcune delle necessità strategiche per la competitività del settore: fra di esse voglio sottolineare il mantenimento della normativa italiana ed europea sulla competitività della bandiera marittima, il collegamento dei nostri scali con le reti di trasporto terrestre, l’adeguamento dei fondali e la semplificazione di diverse procedure amministrative e fiscali».

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