Il commento / Acqua inquinata nel bicchiere mezzo pieno

di Paolo Liguori

Mezzo vuoto o mezzo pieno, nel bicchiere c’è acqua inquinata. Un liquido tossico per la democrazia e l’equilibrio dei poteri costituzionali. Il nostro ordinamento degrada verso l’affermazione di una tutela di ogni attività umana da parte della magistratura. Non c’è niente da fare, sulla sentenza della Corte Costituzionale la penso esattamente come Fabrizio Rondolino e Claudio Velardi, almeno per quanto hanno scritto sul loro blog The Front Page, riportato dal Giornale di ieri. Dodici parrucconi, chiaramente orientati dalle loro convinzioni politiche, hanno stabilito in pratica che l’operato del governo legittimamente eletto può essere sottoposto al vaglio, alla decisione ed all’arbitrio di un giudice qualsiasi. Sostengono che, in questo modo, si torna all’equivalenza dei cittadini di fronte alla legge, ma l’argomento è pretestuoso, visto che la Corte avrebbe potuto, su una simile premessa, bocciare la legge sul legittimo impedimento. Ed assumersi la responsabilità di aver intaccato le prerogative del potere esecutivo. No, con furbizia e viltà, la Corte ha svuotato il provvedimento, apparentemente confermandone il principio, ma ha inferto una ferita non rimarginabile alla vita democratica. Ancora un gradino più in basso, nella discesa che porta ad un Paese sotto tutela, forse ad un punto di non ritorno.
Sento e comprendo le ragioni degli esperti e degli analisti della politica: la sentenza cambierà poco dal punto di vista pratico, anzi ha la funzione di stabilizzare l’attività di governo. Può darsi, ma è l’aspetto che mi interessa meno, se vado con la memoria all’inizio del degrado, vent’anni fa, degli equilibri tra potere giudiziario e politico. Una lettura superficiale vuole che l’operato della magistratura abbia coperto il vuoto lasciato dalla politica. Ma io ho visto ben altro. Ho osservato una parte della magistratura orientata e coordinata per colpire la stabilità politica e creare il vuoto da riempire successivamente. Una strategia che, almeno all’origine, ha visto l’ispirazione di una sinistra ex comunista, mossa dalla necessità di modificare radicalmente e con violenza il quadro politico e istituzionale. All’inizio fu così, poi settori ampi della magistratura hanno gustato il frutto proibito della prevaricazione ed hanno insistito. Sempre con l’appoggio, o almeno la copertura, della sinistra ormai svuotata di ogni altra strategia.
C’è un passaggio chiave in questa marcia: l’abolizione dell’immunità parlamentare. Quando avvenne, si pensava ad altre necessarie riforme della Costituzione, ma in questi anni ci siamo sempre sentiti ripetere che l’equilibrio dei poteri previsto dalla Carta non deve essere sfiorato. Quante volte è stato lanciato il falso allarme sui tentativi dell’esecutivo di controllare l’azione del potere giudiziario? In vent’anni, è stato l’esatto contrario. Oggi il potere esecutivo può essere sottoposto al vaglio di un magistrato.
Ma perché - dobbiamo chiederci- se la Costituzione è intoccabile, si è toccata soltanto l’immunità parlamentare, pensata e decisa a salvaguardia degli equilibri? È chiaro: si voleva dare campo libero ad un piccolo esercito in marcia per sovvertire il principio della sovranità popolare. Amici, i vostri ragionamenti politici non mi convincono e non mi rassicurano.

Ho visto soccombere sotto il peso di questo potere arbitrario italiani perbene e di valore. Immagino le obiezioni, ma la retorica della lotta al malcostume e alla criminalità non mi distrae al punto da non vedere il pericolo.

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