Il commento Quando il congresso è guerra tra bande

Il congresso: una interminabile, confusa, rissosa, stressante autoanalisi, del tutto incapace di collegarsi ai problemi della realtà italiana ed ai rapidi scossoni della globalizzazione.
Ad esempio, il congresso appare del tutto inconsapevole che la grande tradizione socialista-socialdemocratica europea si sia avvitata in un rapido ciclo di estinzione, a causa principalmente della marginalizzazione della produzione industriale di massa.
Ad esempio, il congresso appare del tutto inconsapevole delle grandi trasformazioni della globalizzazione: la crisi della postmodernità; la società liquida; Matrix e l’evoluzione della comunicazione; il radicalismo «gauchista» come malattia senile del socialismo; l’eclisse del sindacato; i nuovi miti della sicurezza, del consumo, del localismo. Quindi, sta maturando la prospettiva di una lunga stagione di opposizione e di ricostruzione; cioè una sorta di glaciazione politica e sociale della sinistra. In verità, perfino il disegno organizzativo del congresso sembra essere stato pensato da un gruppo dirigente afflitto dalla maledizione «virgiliana» della rovina ineluttabile «Quem deus vult perdere, amentat».
Infatti, il defatigante, confuso meccanismo congressuale basato sulla contrapposizione tra iscritti ed elettori ha finito per bloccare ed isolare il partito per mesi e per favorire le spinte degenerative e i processi di decomposizione.
Ad esempio: la estremizzazione delle posizioni, l’alta conflittualità della oligarchia interna, una strisciante continua polemica, una aggressività eccessiva, un clima esasperato ed intollerante.
E questo scontro per bande, questa sorta di guerra civile interna, ha reso sterile ogni slancio, ogni entusiasmo, ogni passione, ogni speranza sul futuro, al punto da far fiorire una vasta gamma di aspre diagnosi, cariche di pessimismo, dell’«intellighenzia progressista».
Cito tra gli altri i libri di Schiavone, Rutelli, De Giovanni e «Le ombre rosse» di Citto Maselli.
Significativa ed amara la sua sintesi: «Siamo un buco nero nel cuore della gente». In verità, questo interminabile dibattito congressuale, segnato da convulsioni e da accuse incrociate di brogli e tessere false, ha ulteriormente lacerato le diverse culture del partito, consegnando al Paese l’immagine di un soggetto politico ripiegato su se stesso e ossificato in metodi e riti obsoleti.
In sintesi, il metodo elettorale prescelto, arricchito per di più dal Lodo Scalfari, appare non solo paradossale e frustrante, ma soprattutto pericoloso per il futuro del partito, perché consegnerà una leadership costruita dal caso, dal contrasto tra iscritti ed elettori, dalle scorribande manipolanti del giacobinismo mediatico.
Un partito «Work in progress», sbattuto continuamente fuori rotta dal radicalismo e dall’intolleranza, incubatrice di emorragie scissionistiche.


Un partito comunque lontano dalla «vita normale» e dal confronto politico del Paese; un partito che si è cacciato in un convulso isolamento. Ma non è solo un problema di procedure congressuali, il nodo è di sostanza.

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