di Matteo Mion
L’ultima frontiera del centrosinistra sono gli Ordinari di diritto costituzionale. Per intenderci quelli che da cinquant’anni piegano la Carta fondamentale dello Stato alle esigenze della sinistra.
Faccio un esempio personale: ho studiato diritto costituzionale sul testo del professore Livio Paladin, già Guardasigilli, presidente della Consulta e (circolava voce nell’ateneo) consigliere di Oscar Luigi Scalfaro. Nel suo manuale l’illustre Ordinario patavino scriveva che la sfiducia al singolo ministro non era costituzionalmente possibile, perché l’articolo 94 prevedeva che la mozione di censura riguardasse l’intero esecutivo e non un singolo rappresentante. Proprio in quei giorni l’allora maggioranza di centrosinistra presentò e votò la sfiducia contro il ministro Mancuso reo di aver disposto ispezioni giudiziarie troppo zelanti nelle procure patrie. La sera stessa che il Guardasigilli fu costretto a fare le valigie da Palazzo di via Arenula ascoltai un’intervista al Tg5 delle 20 dove l’eminente professor Paladin perorava le ragioni giuridiche delle sfiducia al singolo ministro. In quel momento compresi che la nostra Costituzione è un foglietto di carta sottile, sottile che la sinistra è bravissima a maneggiare a tutela dei propri interessi. L’importante è saperlo fare con una certa disinvoltura, pubblicando il parere di comodo su bel po’ di riviste giuridiche specializzate e poi calando dall’alto al volgo gli artifizi giuridici del costituzionalista fiduciario di turno.
Come il direttore di quotidiano si rivolge alla redazione per richiedere un pezzo giornalistico su un tema specifico, allo stesso modo l’apparato dirigente del centrosinistra si rivolge ai costituzionalisti: una bella sentenzina ad hoc per mandare a casa Mancuso quindici anni or sono e la Polverini a fine marzo. Nel Lazio, infatti, non bastassero Corte d’appello e Tar, il vice Marrazzo ricorre alla Consulta per spianare la strada della vittoria alla radicale Bonino, confidando in un provvedimento dei giudici costituzionali stile lodo Alfano. Nulla di nuovo per carità, ma ciò che lascia sbalorditi è che Emma Bonino si presti al subdolo giochino. Ricorda bene la leader radicale negli anni ’90, prima dei cataclismi politici legati a Tangentopoli e dell’avvento in politica di Silvio Berlusconi, gli scioperi della fame di Marco Pannella contro la Corte costituzionale che lui definiva «Cupola mafiosa garante dei poteri forti». All’epoca Radio radicale rappresentava l’unico baluardo di dissenso nei confronti degli ordinari costituzionalisti d’Italia che avevano il posto garantito alle poltrone della Corte romana, se tenevano bordone alla sinistra.
Suvvia Bonino, se è minimamente coerente faccia obiezione di coscienza almeno al ricorso alla Consulta presentato dai suoi alleati rossi. Non vorrà mica farsi eleggere con l’aiuto di quelli che il compagno Pannella chiamava «i cani da guardia del sistema partitocratico». Non sono cambiati perché il più giovane è canuto da tempo: Parlamento e capo di Stato si sono sempre affaccendati affinché i giudici costituzionali rimanessero a maggioranza rossa. Sono gli stessi da quasi un secolo e girano a rotazione dai pulpiti universitari alla Corte romana, passando per le colonne della Repubblica: Zagrebelsky, Onida e i soliti furbacchioni pronti a pubblicare un paio di tomi per dare una plausibilità giuridica alle teorie che sino al giorno prima avevano negato. Sono il Vallo di Adriano della sinistra, l’ultimo confine della sottile linea rossa, i garanti che le manfrine progressiste abbiano un humus giuridico più o meno plausibile.
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